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Preceduto da una critica a lui favorevole, forse per l'alternatività dei modi espressivi e dei racconti, il regista di colore Spike Lee torna sulle scene con un film a dir poco sconcertante.
Che sia in effetti diverso e,a suo modo, originale, non c'è dubbio... ma bisognerebbe valutare tale "diversità" nel merito, formale e contenutistico.
"Lei mi odia" è a mio avviso un film profondamente razzista, malgrado i toni pretestuosi e fittizi di protesta. Propone figure emblematiche del capitalista cattivo e profittatore, a confronto del giovane professionista nero, ingenuo ed onesto, portatore di tutte le virtù; una forza vitale spontanea e genuina, destinata a riprodursi all'infinito con crescita esponenziale.
Se vogliamo, forse, una metafora terzomondista, fortemente sintonizzata con le istanze dell'integralismo islamico, contro l'american way of life.
La storia, in sé, è addirittura grottesca: licenziato dalla solita multinazionale, il giovane laureato di colore, non si sa come assunto a 30 anni alla vicepresidenza della Compagnia, ne denuncia i raggiri dopo il suicidio di un amico ricercatore dell'azienda. Rimasto senza lavoro, fa una rapida fortuna ingravidando a pagamento una lunga serie di lesbiche arrabbiate.
La cosa lo mette sotto una cattiva luce che gli avversari cercano ovviamente di sfruttare: ma lui, impavido, finirà per trionfare, bypassando soavemente le sue colpe di riproduttore scelto a comando, nella solita udienza conclusiva in tribunale. E, infine, rientrerà nei ranghi, mettendo su famiglia con la sua amata, e la di lei fidanzata, entrambe incinte del suo seme.
Dunque, a livello di sostanza non manca alcun ingrediente: il conflitto bianchi/neri, la diversità omosex, gli accenti moraleggianti della famiglia, la turpitudine del capitalismo bianco, il trionfo della giustizia, al di là delle colpe!
Lo stesso può dirsi sotto l'aspetto formale, dove si coglie una miscela eterogenea di tutti gli elementi possibili: dialoghi non credibili al limite del surreale, immagini in animazione ridicole e di pessimo gusto, come la carica degli spermatozoi verso la culla finale, con la testa del donatore, personaggi assurdi e caricaturali come il popolo di lesbiche rappresentato.
Il tutto con una sceneggiatura non altrimenti definibile che come emulazione riaggiornata degli imbonitori/stregoni delle civiltà tribali: a caccia di storie elementari e simboliche per convincere un'utenza a livello mentale infantile.
Un kitch sorprendente, difficilmente accettabile, nemmeno per amore del paradosso.
Ed è quindi inutile soffermarci sulla recitazione dei vari personaggi, evidentemente forzati in chiave caricaturale; peccato, perché invece il giovane interprete di colore, Antony Mackie sembrerebbe capace di qualcosa di meglio!
Che ridere! Non ho ancora letto alcuna critica... e so già che qualcuno parlerà di "capolavoro"!
Di Spike Lee i vari recensori parlano come di uno "Scorsese al nero", incensandone le doti cinematografiche, malgrado la scomodità politica dei suoi temi.
Ma la rabbia che trasuda dal suo verbo non risulta a mio avviso affatto convincente: non più di come lo fossero, ad esempio, i discorsi propagandistici del realismo socialista. Gli eccessi sono eccessi in tutti i sensi, in qualsiasi direzione vadano!
Ma poi, che cosa c'entrava con questo pasticciaccio la nostra Monica Bellucci... in versione siculo-mafiosa??? Così poco brava da fare torto alla sua bellezza!
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Recensione a cura di GiorgioVillosio - aggiornata al 28/09/2005
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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