green zone regia di Paul Greengrass Gran Bretagna, USA 2010
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green zone (2010)

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locandina del film GREEN ZONE

Titolo Originale: GREEN ZONE

RegiaPaul Greengrass

InterpretiMatt Damon, Greg Kinnear, Jason Isaacs, Amy Ryan, Khalid Abdalla, Yigal Naor, Nicoye Banks, Said Faraj, Sean Huze, Bijan Daneshmand, Raad Rawi, Jerry Della Salla, Edouard H.R. Gluck, Allen Vaught, Brendan Gleeson, Antoni Corone

Durata: h 2.36
NazionalitàGran Bretagna, USA 2010
Generethriller
Al cinema nell'Aprile 2010

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Trama del film Green zone

Nel 2003, durante la prima fase dell'occupazione americana dell'Irak, l'ufficiale Roy Miller (Matt Damon) e la sua squadra vengono incaricati di rintracciare le armi di distruzione di massa che si pensa siano nascosti nel deserto. Invece di scovare i micidiali ordigni si ritroveranno immischiati in una serie di losche operazioni organizzate dai servizi segreti che finiranno per cambiare completamente l'obiettivo della loro missione...

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Voti e commenti su Green zone, 123 opinioni inserite

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Gruppo COLLABORATORI SENIOR jack_torrence  @  14/04/2010 16:23:28
   6 / 10
Greengrass è stato forse il primo a fare uso di uno stile (che, messo a punto, non ha più rimodulato) fondato quasi esclusivamente su: mdp a mano, movimenti di macchina "sporchi" e frenetici, zoomate improvvise.
E' uno stile "dentro all'azione" che, prima, vedevamo solo in certi film d'autore, e appariva "semi-documentaristico".
Del documentario, di cui questo stile vuole essere una raffinata imitazione, viene presa la mobilità del punto di vista di un soggetto (l'operatore; l'occhio) che rinuncia alla centralità di un set costruito intorno a lui, ma vuole essere "in più" sulla scena, esattamente come accade al reporter le cui immagini "rubate" vengono poi inserite in un documentario.
Si tratta di una raffinata finzione, come dicevo, che ha il duplice scopo di portare lo spettatore in mezzo all'azione con particolare efficacia (si ha la sensazione di poter quasi percepire il calore e gli odori), e di restituire la sensazione del caos: la realtà descritta da Greengrass è sempre caotica, labirintica, con una verità e un senso sempre sfuggenti.
Caotica e quasi inconoscibile è la situazione dell'Irlanda del nord in "Bloody Sunday", quella dei misteri dell'11 settembre in "United 93", quella di Bourne, e - qui - quella dell'Iraq appena messo a ferro e fuoco dalle truppe USA.

Lo stile di Greengrass è oggi ampiamente utilizzato da altri registi: insomma è una formula che ha avuto fortuna. E già è stato applicato all'Iraq (da K. Bigelow in "The hurt locker" a R. Scott in "Nessuna verità; ma prima ancora da Gaghan in "Syriana", probabilmente il migliore fra questi film citati). Ovviamente, Greengrass ha in qualche modo il marchio di fabbrica del proprio stile come poc'anzi descritto; gli altri ne utilizzano una versione oggi ampiamente diffusa, che declinano con sfumature diverse e in modo spesso comunque personale.

Se ho dedicato tanta attenzione allo stile è perché ritengo che l'interesse di questo film ruota per gran parte intorno allo stile adottato.
Il fatto che però lo stile di Greengrass si sia ormai ampiamente diffuso, unitamente al fatto che non sia cambiato di una virgola, limitano a mio avviso l'importanza della pellicola.
In qualche modo, su "Green zone", c'è da dire relativamente allo stile quanto occorre dire relativamente al soggetto: la verità sul "falso" relativa alle armi di distruzione di massa è un fatto storico (già quando era attualità, si dubitava si trattasse di un falso). Di conseguenza, l'intero impianto di una "verità sfuggente" attorno al personaggio di Roy Miller interpretato da Matt Damon, è un impianto assai poco sfuggente.
Lo spettatore non vive insieme al protagonista lo stesso spaesamento e la stessa vertigine di (non)senso: si tratta di una rievocazione, cui manca la forza della rivelazione.

Sinteticamente, per il resto, il film è un buon esempio di cinema bellico d'azione, più vicino ai film di Bourne che a "Bloody sunday" o "United 93".
Infatti, l'interesse a costruire una storia di fiction e di intrattenimento (per quanto a partire da un contesto reale e nella fedeltà agli eventi storici di base) prevale sulla necessità di denuncia, sulla volontà di svelare, non tanto la "reale verità" (come accade qui), quanto l'abisso di ambiguità - quasi insondabile - celato dietro la superficie della non-verità ufficiale.

Motivo per cui, dopo un'ora di film, l'evolversi della storia si segue con meno interesse di quanto ne aveva destato la sua ambientazione: insomma la narrazione è molto meno interessante della descrizione. Forse la causa sta proprio nei limiti dell'impianto - su di un tessuto storico reale - di una vicenda di fiction in se stessa piuttosto "povera".

2 risposte al commento
Ultima risposta 15/04/2010 00.58.21
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