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Dal futuro regista di "Rocky",non un exploitation come il titolo italiano e la trama potrebbero suggerire,ma un dramma farsesco che punta il dito sia sulla comunità hippy(descritta alquanto impietosamente)che sulle differenze di classe che però non impediscono ai protagonisti di trovare una tragica intesa nella loro ottusità e intolleranza.Infatti è interessante l'analisi del rapporto tra i due,non esente da frecciatine(la scena in cui entrambi si uniscono a un festino a base di droghe e sesso).Boyle,al suo primo ruolo di spicco,sa conferire più spessore di quanto ne abbia effettivamente il suo sgradevole personaggio.La violenza è limitata al finale,che ha un'inaspettata svolta tragica.Debutto per la 24enne Susan Sarandon.
Scoperto leggendo l'ultimo libro di Tarantino, che lo cita come uno dei suoi film preferiti e uno dei primi che lo hanno avvicinato al mondo del cinema quando ancora era un ragazzino. Davvero una gran bella scoperta, un film ingiustamente dimenticato qui da noi (ma non so neanche se abbia mai avuto successo), non so se negli USA goda di maggiore fama, probabilmente sì e probabilmente chi ha vissuto quegli anni lo sente anche più suo rispetto a chi lo guarda oggi.
Mi è piaciuto molto il fatto che Joe entri in scena dopo almeno mezz'ora di film, e lo fa per quello che è, un personaggio qualunque del proletariato americano, uno che passa le serate al pub a lamentarsi di tutto e tutti: se il film non si chiamasse "Joe", non ci si aspetterebbe mai che questo uomo burbero che compare in scena all'improvviso diventi il protagonista del film, sembra una comparsa qualsiasi.
Per me va incluso tra i film più rappresentativi della New Hollywood, sia per il modo in cui è fatto che per i contenuti: un film coraggioso, a tratti quasi spietato, un eccellente ritratto dell'enorme solco presente tra due generazioni, forse la distanza più grande che ci sia mai stata a livello culturale tra figli e genitori è proprio quella dei giovani degli anni '60 e '70; a tal proposito emblematici i dialoghi che vengono scambiati durante la cena tra le due coppie.
Un esordio impeccabile per Avildsen, regista piuttosto sottovalutato ma con una filmografia di tutto rispetto.
Al primo film importante della carriera il sottovalutato Avildsen mostra già il suo stile secco e non impostato svincolato da un impianto classico (come invece sarà il capolavoro "Rocky") ma che riprende i personaggi (senza prenderne necessariamente uno solo come protagonista) facendoli muovere liberamente nel contesto, privi di uno scopo ben preciso e trascinati da eventi in cui quello che succede succede (stessa cosa del successivo "Salvate la Tigre"). Il risultato è l'affresco di un'America chiusa e senza speranza, non disposta ad accettare il cambiamento in una nazione liberale, ma che al contrario ricorre alla violenza per fermare questo inquinamento di popular culture che annienta le nuove generazioni e le rende prive di valori ed ideali. Un affresco incarnato alla perfezione in tutta la sua crudezza non solo dalla colonna sonora ma anche dalle figure principali che legano la trama (Boyle e Patrick, eccellenti) due personalità completamente agli antipodi sia in carattere che in estrazione sociale che per le ragioni di cui sopra (e per un tesissimo sentore di ricatto) riescono a trovare fin da subito un comune denominatore. Finale tragicissimo, peccato che non si sappia nulla sulle conseguenze delle loro azioni.
In ogni caso, è da vedere.
Nota: debutto cinematografico per l'incantevole (e super-sexy) Susan Sarandon.
Spietato film sulla tossicodipenza. realizzato senza falsi moralismi e con una crudezza francamente eccessiva per l'epoca. Il protagonista è straordinario: forse il regista osava mettere il dito nella piaga, facendo emergere, come altri all'epoca, i sogni infranti e l'Inferno stralunato che improvvisamente colpì il mondo beat e tutto quello che significava. Emblematica in questo senso la presenza del gruppo "lisergico" più celebrato dell'era "flower power", i Jefferson Airplane