Recensione erin brockovich regia di Steven Soderbergh USA 2000
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Recensione erin brockovich (2000)

Voto Visitatori:   7,43 / 10 (115 voti)7,43Grafico
Miglior attrice protagonista (Julia Roberts)
VINCITORE DI 1 PREMIO OSCAR:
Miglior attrice protagonista (Julia Roberts)
Miglior attrice in un film drammatico (Julia Roberts)
VINCITORE DI 1 PREMIO GOLDEN GLOBE:
Miglior attrice in un film drammatico (Julia Roberts)
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locandina del film ERIN BROCKOVICH

Immagine tratta dal film ERIN BROCKOVICH

Immagine tratta dal film ERIN BROCKOVICH

Immagine tratta dal film ERIN BROCKOVICH

Immagine tratta dal film ERIN BROCKOVICH

Immagine tratta dal film ERIN BROCKOVICH
 

La giovane segretaria di uno studio legale, madre di tre figli ed ex cameriera, scopre che un colosso americano della chimica inquina le falde acquifere di una regione, provocando il cancro nella popolazione. Con l'aiuto dell'avvocato presso il cui studio presta servizio, vincerà una difficile e pericolosa causa in favore dei malati.

Julia Roberts è donna dallo strano fascino; non particolarmente bella, appena graziosa con la sua bocca smisurata, ed un po' allampanata, ha comunque un potere seduttivo che la porta ad essere l'attrice più pagata del mondo. Successo che, poi, non è certo legato alla qualità dei suoi film, quanto forse alla soavità dei temi trattati, alla piacevolezza delle commediole leggere, che fanno sognare ed evadere il pubblico medio, sovente oberato da problemi reali; un po' alla Frank Capra, se è lecito il paragone.
E' stata dunque una sorpresa trovarla nel film di Soderbergh, in cui incarna un personaggio di donna provata da una vita difficile, in competizione col mondo, con tre figli a carico e senza lavoro; obbligata a lottare per un posto di lavoro al di sopra delle sue competenze non solo per sbarcare il lunario, ma almeno per ottenerne gratificazioni personali, autostima e riconoscimento pubblico (mancatole come cameriera, ma pure come moglie e madre).
Lottando con ostinazione e caparbietà per una causa morale superiore, riesce dunque ad affrancarsi dal suo retaggio, convincendo delle sue qualità prima il datore di lavoro, quindi tutti i colleghi, inizialmente ostili, ed infine il suo l'uomo, fino a un certo punto relegato nel ruolo di "mammo", a badare ad i figli di lei.

In questa inversione di ruoli sta una sfumatura profonda del film, trascurata finora dalla critica di fronte al messaggio primario, di natura etica, sociale ed ambientale.
Il soggetto, non a caso scritto da una donna, evidenzia una volontà subliminale della protagonista di cavalcare il destriero della carriera a tutti i costi con la determinazione e la caparbietà propria degli uomini, che per questo trascurano la famiglia, i figli e le mogli, lasciandole a casa a rigovernare e proteggere il focolare ed arrivando infine a stufarle ed a farsi abbandonare, come fa il "mammo" hippy, fino a che il successo economico garantito alla famiglia non ricostruisca un equilibrio duraturo.
In tal senso un film femminista, credibile in un contesto matriarcale come quello degli States; ma pure da noi, in tempi in cui si devono fare i conti con la emancipazione femminile e il ruolo obbligato delle madri single.

Precipuo resta comunque il tema di fondo della coraggiosa lotta della giovane Erin Brockovich (e si tratta di una storia vera) contro l'industria inquinante che avvelena le acque del territorio; emblematica, ma pure attualissima, come l'esempio dell'attuale situazione dello smaltimeno dei rifiuti a Napoli sta a dimostrare (in cui però i colpevoli restano ad oggi drammaticamente impuniti).
Il merito del film sta nel trattare la materia con una certa sottigliezza, senza esasperazione di toni; portando la protagonista, partita per fare carriera, ad una sincera compassione umana per i malati ed a prendere coscienza dell'iniquità del sistema; a combattere non per il solo guadagno, ma per una sete di giustizia che non è propriamente yankee; per un anelito "umanistico", anziché economico e "materialistico".
Altro vanto della regia, averci risparmiato le solite scene delle cause in tribunale, limitandole al minimo; sempre col limite di una storia che parte fin dall'inizio con la certezza del lieto fine, come, purtroppo, nella vita non succede.
Pregio invece indiscutibile la recitazione dei protagonisti: una Julia Roberts sempre brillante ed effervescente ma capace di esprimere commozione e nobili sentimenti con estrema misura, assolutamente credibile nel ruolo; come pure l'avvocato Albert Finney, in una parte minore, ma che non scopriamo certo oggi come grandissimo attore.
Che sia stato lui, il famoso emulo di Laurence Olivier, il grande interprete di Tom Jones, ad ispirare la recitazione della "commercialissima" Julia?

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Recensione a cura di GiorgioVillosio - aggiornata al 01/07/2008

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