Ci sono film che in base all’età e alle condizioni psico-fisiche con cui ti accingi alla visione, possono assumere significati radicalmente diversi. Che quando li riguardi a distanza di tempo pensi, “Ma i miei nervi quanto erano fragili?” o al contrario, se l’organo cuore fosse partito in vacanza.
Ci sono poi giudizi influenzati dal doppiaggio scadente, che può snaturare completamente l'anima di un film. E ci sono attori eternamente legati al personaggio che li ha resi famosi, che eternamente marchieranno a fuoco le pellicole a cui prenderanno parte, cedendoli in proprietà ad un genere ed un pubblico specifici.
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The perks of being a wallflower”, tratto dall’omonimo best-seller di Stephen Chbosky, è un teen movie in bilico tra tutte queste caratteristiche, che conta tra i numerosi protagonisti
Emma Watson. Quanto basta a snobbarlo e a bollarlo come minchiata isterica per adolescenti in crisi esistenziale. Sarà che il passaggio al mondo degli adulti per me non si è ancora del tutto concluso, ma quest’”Isola dei giocatoli difettosi” invece, col suo coacervo di ragazzini problematici (la matricola looser, la darkettona, la buddhista punk, il fattone, il gay represso, la tipa bisognosa d’attenzioni che si regala in cambio di una parola affettuosa) mi è parsa di una purezza e di un’innocenza fuori dal comune. E non è un caso se i produttori sono gli stessi di "
Juno".
Tralasciando la svolta shock sul trauma infantile, è un gran film sulla ricerca della propria identità, sulla difficoltà a trovare una giusta collocazione sociale, sul sentirsi “carta da parati” osservando la realtà circostante anziché parteciparvi. Sull’amicizia e sui legami che aiutano a crescere. Insomma, tutto ciò che Moccia non è mai riuscito né a scrivere, né a raccontare per immagini, e che Chbosky ha doppiamente fatto con la sua creatura letteraria. La scena del tunnel, un contatto liberatorio con l’infinito a folle velocità, tra le luci della notte, accarezzando l’aria in piedi a braccia tese sul tettuccio dell’automobile non sarà inedita (molto Gioventù bruciata o prua del Titanic), ma scegliere di sposarla con “Heroes” di David Bowie è una mossa azzeccata. Tra l’altro Bowie si conferma autore prediletto ad esprimere per musica il malessere giovanile (pensiamo al recente “Ragazzo solo, ragazza sola” scelto per “
Io e te”, di
Bernardo Bertolucci). Quindi non so se remare contro (anche al cinema) stia diventando la mia attività sportiva preferita, ma davvero non sopporto le opinioni aprioristiche. Giudicate un prodotto senza paletti e schemi precostituiti. Guardatelo in versione originale, perché l’ultima generazione di voci italiane si divide tra timbro soap e trasteverino. E al limite lasciate vincere sull’obiettività il vostro bagaglio esperienziale e il vostro passato, ma in quel caso mi spiace per voi se eravate cheerleaders o capitani della squadra di football. Io sedevo al tavolo dei weird, e ho imparato tanto.