Di storie impossibili la settima arte ne ha trasposte a iosa, dal dramma di
Tristano e isotta a
Romeo e giulietta, dagli
ostacoli di classe di
Cenerentola (tradotti nel capostipite delle favole moderne,
Pretty woman) all’amore consumato al di qua e al di là della barriera Coreana in
Poongsan.
Ora, immaginate che un immenso muro di Berlino separi due pianeti gemelli che orbitano nello stesso sistema solare. E che la relazione a distanza tra due giovani, oltre che dalle forze militari, sia minata da forze di gravità opposta. Dovendo affrontare continuamente nausee, vertigini e torcicolli, risulta una situazione ancor più complicata da gestire di una dittatura. I mondi capovolti di
Upside down, a parte il sangue alla testa dello spettatore che si contorce inseguendo le inquadrature rovesciate, sono indubbiamente accattivanti e ricchi di fascino.
Come da tradizione, il genere fantascientifico trasla sull’ambientazione futuristica i disastri del tempo presente, proponendo scenari apocalittici non tanto distanti dai risultati degli storici e attuali totalitarismi. Ma contrariamente agli interrogativi antropologici su cui il cinema contemporaneo ultimamente sta riflettendo, vedasi
Cloud atlas o, se ci si vuole
spostare su una dimensione nettamente più simbolista l’
Holy motors di Carax, questo film non ripercorre il ciclo evolutivo per stanziare un’analisi chiarificatrice sulla fase in cui ci troviamo, né affronta la crisi identitaria dell’uomo moderno.
Malgrado le fiduciose premesse della prima parte, il contesto civile resta uno sfondo approssimativamente abbozzato, le sorti dell’umanità superficialmente accennate, mentre è l’intreccio amoroso a reggere interamente i fili del discorso.
Caramella più gommosa e digeribile da dare in pasto allo spettatore medio. Il ché ci regala uno degli amplessi castigati più suggestivi mai realizzati (ai quali Jim Sturgess sembra proprio essere portato, se pensiamo alle altrettanti acrobazie, sottomarine, rese in
Across the universe), ma lascia cadere quei tentativi avanzati finora da alcuni autori (
Malick e
Von trier su tutti), di gettare luce su un cammino dai residui medievali, oscuro ed impervio.
In Upside Down c’è molto più di qualche buco di sceneggiatura frettolosamente tappato (la guerra dei brevetti, le inviolabili leggi violate di Transworld). C’è l’indifferenza di un cinema che non avverte la necessità di porsi come guida, che non raccoglie l’ansia di inquadrare le incertezze di un domani inafferrabile, preferendo tenere il suo pubblico nel buio di una caverna, sospeso come stalattiti e stalagmiti, a distrarsi con le ombre proiettate sul grande telo bianco.