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Il film riprende molto dai classici horror impegnati più o meno politicamente e socialmente di George A. Romero e nella prima parte in cui il protagonista, spaesato, scopre che gran parte della popolazione è stata contagiata da un virus e che sono rimasti in pochi uomini ad essere "sani".
La forza del film, però sta nella critica sociale, la critica alla "razza umana" che fa attraverso questo film il sempre più allucinato Danny Boyle.
Nella visione di Boyle l'uomo non è altro che un lupo che ha l'istinto di ammazzarsi con i suoi simili (HOMO HOMINI LUPUS). Inoltre nel film ad un certo punto ci si accorge che non vi è poi così tanta differenza tra gli "zombie" come vengono chiamati impropriamente (in quanto questa è una storia di uomini e non di creature improbabili) e gli uomini veri e propri.
Il film è comunque in alcuni momenti contraddittorio e incompleto, in alcuni punti addirittura superficiale. Così mi sono fatto l'dea che Danny Boyle usa il cinema come arte figurativa e fa un uso massiccio (se non eccessivo) di simbolismi. E per godersi a pieno i suoi film (ad eccezion fatta del capolavoro Trainspotting e del pessimo e non degno di interesse The Beach) non bisogna badare più di tanto alla coerenza, perchè da un certo punto di vista i suoi film sono una presa in giro. Un esempio può essere il fatto che quando il bravissimo protagonista Cillian Murphy si trova per l'autostrada che porta a Manchester e anche quando all'inizio si aggira per Londra non si vede neanche un cadavere o nemmeno una macchina, cosa impossibile visto che in uno stato di emergenza tale le città erano state evacuate e di conseguenza si sarebbero dovute vedere perlomeno alcune macchine sottosopra.
Invece Boyle ci fa vedere corpi ammassati ai margini di una strada e all'interno di una chiesa in cui è molto suggestiva la figura di un prete contagiato dal virus. A mio parere Boyle è uno dei pochi registi che non dà molta importanza alla coerenza narrativa della storia ma usa molto nel suo cinema il simbolo. L'unico problema è che molto spesso lo spettatore non riesce a stare al suo gioco visto che a mio avviso certe cosa sono veramente personali e le capisce solo lui. Comunque da notare il finale a La 25a ora, ovvero la presa in giro del sogno americano e dell'happy-end americano (anche se in Danny Boyle è tutto molto più rozzo rispetto a Spike Lee).
In conclusione un film buono, ma bisogna stare al gioco di Boyle ed accettare le sue imprecisioni narrative cercando di cogliere i suoi virtuosismi simbolici. Anche perchè per quale motivo bisogna fare film coerenti dove tutto sempre torna e dove non ci sono mai sviste e imprecisioni se poi il nostro mondo non è per nulla coerente?
A mio avviso è stato questo l'obiettivo di Boyle in 28 Giorni Dopo, fotografare la "razza umana" attraverso tutto il film, una razza dove regna l'odio, l'incoerenza e l'eterna speranza di un lieto fine che assai difficilmente può verificarsi.
Una importante chiave di lettura per il finale è rappresentata dalla scritta HELLO fatta di lenzuola che cuciono i protagonisti per farsi riconoscere da un aereo che inizialmente viene inquadrata priva della O. Chi vuole intendere intenda.
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Recensione a cura di Lucamax - aggiornata al 09/07/2003 18.19.00
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