Recensione 36 - quai des orfèvres regia di Olivier Marchal Francia 2004
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Recensione 36 - quai des orfèvres (2004)

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locandina del film 36 - QUAI DES ORFÈVRES

Immagine tratta dal film 36 - QUAI DES ORFÈVRES

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Nel linguaggio specialistico dei cinefili francesi è comunemente impiegato il termine, a noi pressoché sconosciuto, di Polar. Questo definisce un genere particolare, come crasi di due parole: "poliziesco e letterario". Un genere che ha illustri tradizioni, nel paese di origine, soprattutto nel cinema in bianco e nero dell'anteguerra e del primo dopoguerra. Interprete più celebre, al di sopra di tutti, il mitico Jean Gabin; anche se tutti i più grandi "caratteristi" del cinema di oltralpe di ogni tempo ci si sono cimentati: da Belmondo a Alain Delon, da Eddie Constantin a Yves Montand. Questo tipo di cinematografia ha sempre avuto, in effetti, uno strettissimo legame con la produzione letteraria, come dimostra il caso emblematico dei gialli di Simenon, con il famoso Ispettore Maigret. Come sempre nei generi espressivi fortemente connotati, diventa quasi impossibile sfuggire a tecniche e riferimenti di maniera, con l'impiego di cliché obbligati, a tutti i livelli: di sceneggiatura, nella caratterizzazione dei personaggi, nello sviluppo del racconto e nell'impiego di effetti speciali (per spiegarci pensate ad esempio agli inseguimenti in macchina o alle scene di violenza dei film americani). Il racconto "di maniera", però, anche se divertente per gli amatori, tende sovente a difettare di originalità, proprio perché la struttura generale dell'opera tende a risultare voluta, artefatta e precostruita (come ad esempio succede col cinema western americano). Dunque diventa difficile parlarne in termini di "artisticità" o di "estetica", ma più logicamente di "gradevolezza" e di "divertimento".

La premessa per introdurre il discorso a proposito di "36 Quai d'Orfèvres", un noir Polar apparentemente alla francese, ma invece fortemente ibridato con modalità espressive di oltreoceano. Della tradizione transalpina il film mantiene la peculiarità dei personaggi, monumenti di francesità, come Gèrard Depardieu e Daniel Auteuil, decisamente convincenti nella difficile parte; ed ancora la pretesa di scavare nella psicologia dei personaggi, evidenziandone una certa umanità di antieroi e persone comuni (se pur con esiti discutibili). Mentre per il resto il film sembra sfuggire alla matrice gallica di Polar, ibridandosi in eccesso con modalità espressive all'americana, di difficile credibilità.
Surreale, ad esempio, risulta la banda dei banditi dei furgoni, che appaiono come robots meccanizzati, paradossali per il loro agire nelle scene di violenza (come negli album dell'Intrepido o nei fumetti di Diabolik). Ma anche il conflitto/rivalità tra i due ispettori, Depardieu ed Auteuil, risulta in effetti ben poco probabile, per l'eccesso di cinismo e di mancanza di scrupolo del primo: uno scontro tra "buono e cattivo", mutuato pari pari dal cinema western, dove il tutore della legge sembra appartenere ad un ordine manicheo iper-umano.

Nel complesso un intreccio narrativo da "Guardia e ladri" gradibile solo da menti semplici ed elementari, o da cultori consueti del fumetto.
A conferma potremmo citare alcune incredibili ingenuità della sceneggiatura e del racconto: chi crederebbe mai, ad esempio, che un assassino evaso possa telefonare alla moglie del complice, solo per indennizzarla con denaro, senza pensare che il telefono di lei sia sotto controllo? O che lei, moglie di un famoso poliziotto, sia altrettanto gonza?

A parte questo, comunque, gli amatori del genere potranno pure divertirsi per gli altri ingredienti: ritmo incalzante, immagini forti, e una buona dose di suspense. Tra gli interpreti una insipida Valeria Golino.

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Recensione a cura di GiorgioVillosio - aggiornata al 24/01/2005

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