Recensione a history of violence regia di David Cronenberg USA 2005
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Recensione a history of violence (2005)

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locandina del film A HISTORY OF VIOLENCE

Immagine tratta dal film A HISTORY OF VIOLENCE

Immagine tratta dal film A HISTORY OF VIOLENCE

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Immagine tratta dal film A HISTORY OF VIOLENCE

Immagine tratta dal film A HISTORY OF VIOLENCE
 

Prima o poi i traumi riaffiorano. Per quanto una persona possa ingannare se stessa e gli altri, i traumi riaffiorano. E son problemi. Cronenberg analizza il momento esatto della vita di un uomo apparentemente beatificato dall'american dream: ha una famiglia perfetta, una donna che lo ama come il primo giorno, due bimbi carini carini con cui ha un dialogo irreprensibile. E lavora in una tavola calda, una di quelle in cui la comunità del solito paesino provinciale (in cui pare che mai nulla debba accadere) si ritira a bere caffè e a mangiar torte ogni pomeriggio, aggiornandosi sul tranquillo tedio che compone le loro giornate. Ma in questa stessa tavola calda accade l'imprevisto, e con troppa e sospetta facilità il buon Viggo fa fuori due rapinatori "che fanno sul serio".
La vicenda innesca una bomba che detonerà con l'incontro di strani personaggi che sembrano perseguitare il punitore, cercando di attribuirgli un'identità che esso stesso nega con tutte le sue forze. A sproposito si è parlato di colpo di scena; ciò che potrebbe sembrare telefonato non lo è nella logica in cui non si dà come colpo di scena. La "rivelazione" è un semplice nucleo nella sinossi del film, per cui non sarebbe nemmeno opportuno parlare di spoiler. Cronenberg non vuol stupire nè con colpi di trama (semmai di trauma) nè con effetti speciali, grazie a Dio.
Il suo è un semplice excursus in un genere che non gli compete, ma le tematiche di fondo rimangono comunque le stesse; ha ragione chi ha parlato di un "Inseparabili" in solitario. Ed è proprio perchè è un genere che non gli compete che probabilmente gli è riuscito così bene; Cronenberg, come ogni autore che si rispetti, non cede alle lusinghe di un pulp a tutto spiano e mostra la violenza con il contagoccie. In fin dei conti, vista una testa saltata le hai viste tutte: e se è vero che le sequenze prettamente violente sono pochine, va anche detto che si tratta di puri momenti in cui l'efferatezza è diluita non poco.

Insomma, quando questo film è violento lo è per davvero, non si scherza. Anzi, non si scherza affatto; Cronenberg, che non è uno sprovveduto, ha capito che di fronte ad un film a carattere violento ci sono solo due strade da seguire: la strada dell'ironia e del sorriso che accompagna ogni zampillo di sangue o la completa austerità. Vie di mezzo non ce ne sono, o si fa un "Ichi the Killer" o si gira un "History of Violence". E la pellicola è cupa, malinconica, claustrofobica nella psicologia e senza uscita nel suo darsi come punto di non ritorno. E la violenza, come un virus, si propaga in fretta e attecchisce bene e facilmente; quando un ineludibile lato del carattere viene solleticato dalla circostanza non solo esplode, ma lo fa nel peggiore dei modi, si veda la profonda e radicale trasformazione del figlio.

Che non è semplicemente un ragazzo represso e tutto sommato pusillanime; tutt'altro, egli è il classico ragazzo d'oro come solo la vita americana della primissima parte del film può generare e crescere. E il suo affrontare e vincere la sfida con il bullo del paese (lui sì pavido) nello spogliatoio è atto totale di sottomissione degli istinti alla ragione. La sfida è vinta in quanto mantenuta sullo stile di quella che è la microsocietà del paese. Una cosa molto simile la avvertiamo nella sequenza di sesso, sempre a inizio film. I due coniugi si appartano esattamente come fossero due liceali, e cercano di consumare l'atto dell'amore come non hanno potuto farlo in passato e in altre età. Ma si badi, sempre con una sorta di freno inibitore dettata dalla razionalità e un parziale controllo della "bestialità"; il marito, appunto, si finge stupito e fa commenti come fosse davvero un liceale. I due giocano, si hanno l'uno l'altro simulando di essere altri da sè.

Cronenberg ha quindi accumulato abbastanza informazioni per descriverci questa vita da cartolina che in qualche modo non può andare avanti, una vita dominata dalla logica della fetta di torta da offire agli ospiti, costretta a ripetere sè stessa, sempre con le solite modalità, con una routine che ormai ha edificato un'impasse difficilmente risolvibile. Chi sostiene che questa idilliaca parte sia troppo didascalica ha ragione, ma sbaglia quando la condanna bollandola come superficiale; essa è estremamente funzionale nel mostrarci un meccanismo che si rompe, come una diga che sollecitata da una fortissima pressione inizia a mostrare le crepe per poi distruggersi sotto la furia dell'acqua, che riplasma, nel disastro, la geografia del luogo. L'evento della rapina sventata è quel momento, e da lì in poi i modelli e i comportamenti dei protagonisti sono rimodellati.

C'è che ritrova sè stesso, ma c'è anche chi perde sè stesso e trova un'altra identità, tangente alla prima. E'il caso del ragazzo. Da boy scout che risolve le situazioni in maniera saggia e pacifica, perde il suo punto di riferimento (il padre) e si evolve adattandosi alla nuova situazione.
Il nucleo famigliare deve seguire, per non perdere l'armonia, l'esempio della figura di rifermento, chiaramente entro i limiti concessi.
E'anche il caso della moglie; passato lo shock per la scoperta, Cronenberg ci mostra una sequenza assai significativa, ovvero quella del sesso sulle scale. Se l'affrontare il teppistello era per il figlio la cerimonia con cui acquistava una nuova identità, la scena del sesso sulle scale è per la moglie il battesimo che servirà a ricompattare la famiglia. La donna non acceta le coordinate della violenza sul piano fisico e del dolore, ma le accetta sul versante del sesso, a lei più congeniale. Che non è più un gioco, una simulazione, come ci era stato mostrato prima, ma un accoppiamento brutale, quasi animale, con tanto di molteplici lividi lasciati sul corpo della donna e un solenne calcio sui cosidetti che il marito mette in conto. Emblema della castrazione virtuale con la quale la moglie rimette in discussione l'eccessiva mascolinità del selvaggio partner? Può darsi.

Fatto sta che la riscoperta del passato di Viggo è volta ad una riscrittura dei valori tradizionali della sua famiglia, valori che però hanno portato all'impasse e quindi al decadimento del nucleo.

Ma la violenza è solo un pretesto per far sì che la famiglia agisca in limine; se in un primo momento sono la moglie e il figlio ad adeguarsi, è anche vero che alla fine del film troveremo un padre pronto a scendere a compromessi; un padre che osserva la propria famiglia ad occhi bassi e lucidi, un padre che probabilmente si sente indegno della propria prole che ha dimostrato di potersi identificare in tutto e per tutto con lui (si ricordi che il figlio arriva ad uccidere letteralmente). Qui si apre una nuova sfida, sfida i cui esiti ci saranno celati; ce la farà adesso il padre ad adeguarsi a sua volta alla "nuova famiglia", alla sua "nuova carne"?

In "History Of Violence" la violenza non si dà solo nel togliere la vita a qualcuno, ma anche nell'affrontare i fantasmi del proprio passato. Da notare inoltre come una delle ossessioni cronenberghiane appaia qui in grande stile: l'ossessione per il corpo e le sue penetrazioni, la corruzione della carne e la cangiante deformità nel momento del suo scempio. Tutti i masacri sono compiuti in una situazione di prossemica intima, delitti faccia a faccia e spesso a mani nude (POI con l'ausilio di armi da fuoco). una sorta di balletto sul tema di "all hail the new flash" ma al contrario: qui l'empietà e il disprezzo della carne porta comunque alla morte, ma senza epifanie di sorta. Qui si muore senza frasi retoriche, non da eroi.

Solo il tempo per un appunto, in questo film che è comunque eccezionale. Non un difetto ma un appunto, come a cercar e il proverbiale ago nel pagliaio. L'episodio a casa del fratello ritrovato (e subito perso...) è forse un po' troppo fuggevole; tutto accade con la stessa rapidità con cui Viggo uccide a mani nude chi gli si mette contro. "History of Violence" dura poco, sarebbe stato interessante se Cronenberg avesse trovato il tempo di approfondire questa parte della trama che tanto trascurabile non pare.
Trama che arriva da sceneggiatura preconfezionata, e deriva da un fumetto. Fumetto che lo stesso cronenberg (dice) si è rifiutato di leggere.
Per chi pensa che il porting perfetto sia il risibile "Sin City".

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Recensione a cura di cash - aggiornata al 21/01/2006

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