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Il termine "Amen" indica la perentorietà della Chiesa di fronte all'Olocausto e il tacito monito del pontefice Pio XII. "Amen" è un film che già dalla locandina con cui è pubblicizzato fa intuire la sua intenzione provocatoria. Riproduce una croce e una svastica sovrapposte a formare un unico simbolo, un disegno blasfemo che ruota attorno al terribile piano di sterminio messo in atto dai nazisti e il silenzio di chi sapeva.
Dalla mancata presa di posizione, al non voler vedere questi crimini, fino ad arrivare all'amministrazione del Vaticano, resasi complice con la sua passività delle atrocità compiute dal terzo Reich.
Un'opera, questa di Costa-Gavras, carica di silenzi e di accuse nei confronti di chi era a conoscenza di cosa accadeva nella Germania nazista, ma ha taciuto: la Chiesa in primis, che nonostante le numerose prove non ha mai apertamente condannato i crimini nazisti, e i vari alleati poi.
"Amen" è la storia di due vite, due mondi che si incontrano e che sono destinati a far sapere al mondo cosa realmente accadeva agli ebrei, non solo allontanati dalla vita pubblica e costretti ai lavori forzati, ma sterminati in massa nei campi di concentramento. Kurt Gerstein (Ulrich Tukur) è un ufficiale delle SS che lavora nel settore chimico e che ignaramente si occupa della fornitura ai campi di concentramento dello Zyklon-B usato nelle camere a gas, soprattutto nella Polonia dell'est.
Dall'altra parte c'è un giovane prete, Riccardo Fontana (Mathieu Kassovitz), che si batte (inutilmente) affinché la Chiesa e soprattutto il Papa intervengano per salvare milioni di deportati. Le loro vite si intrecciano quando l'ufficiale tedesco vede con i propri occhi gli effetti del gas; insieme al giovane prete decidono di agire da soli, approfittando della loro posizione e cercando di ostacolare e rallentare l'operazione di sterminio, nella speranza che la notizia si diffonda e qualcuno intervenga.
"Amen" cerca di riprodurre fedelmente la realtà storica dal punto di vista amministrativo, partendo dal funzionamento delle camere a gas per arrivare alla politica dell'indifferenza della Chiesa. Nella pellicola i dirigenti dei campi di concentramento nazisti discutono di unità da gassare e dell'operatività delle stanze "di morte" con cinico distacco, come se stessero solo adempiendo alle funzioni del loro normale lavoro.
Non ci viene invece mostrato l'orrore degli eccidi nazisti, non si fa leva sulle nostre emozioni, ma il tutto è incentrato sulla coscienza e umanità di chi ha avuto il coraggio di ribellarsi e denunciare l'orrore. Le emozioni date dal film sono quelle in cui la tragedia è suggerita e non ritratta, come nel primo piano degli occhi dell'ufficiale tedesco Gerstein: la morte si può solo immaginare e rimanerne affranti. In ogni film incentrato su un tema così delicato è sempre molto difficile rappresentare la morte soprattutto nelle camere a gas.
Il regista ha scelto di far vedere la morte di massa attraverso lo spioncino, dando risalto ai treni merce in viaggio o ai vestiti ammucchiati al termine della procedura. Non c'è nessun addio individuale, alcun strazio tra gli amanti o dramma familiare tipico del melodramma, poiché è impossibile mostrare i concreti nefasti eventi di un genocidio, ma il tutto è caratterizzato da una forte personalizzazione e i personaggi rimangono definiti sino alla fine.
Nonostante questo, "Amen" adotta uno schema che si basa narrativamente su soggetti dai contenuti forti, per riformulare ancora una volta un cinema politico capace di entrare dentro la Storia e di metterne in luce i lati oscuri. Si crea così un film dove si avverte in ogni inquadratura il peso di una costruzione invasa dalla pesantezza della parola e del gesto. L'urlo, la protesta dell'opera resta solo ipotizzata in un manifesto che ha destato scandalo e la lodevole forza civile del tema si limita alle buone intenzioni.
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Recensione a cura di Simone Bracci - aggiornata al 23/06/2006
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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