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Con un trillo ritmato la mia sveglia JVC da 350 Euro mi invita ad alzarmi dal letto.
Sono le cinque e trenta del mattino quando scanso definitivamente le lenzuola dirigendomi deciso verso la panca per gli addominali; dopo aver fatto sei serie da quaranta addominali e centocinquanta flessioni, mi dedico alla pulizia del mio corpo.
Come prima cosa mi immergo nella Jacuzzi per un salutare idromassaggio di dieci minuti, profumato da sali Hanorah. Terminato l'idromassaggio svuoto la vasca ed elimino le tossine con una doccia fredda della durata di quindici minuti, detergendo il mio corpo con un bagnoschiuma "Tesori d'Oriente" al muschio bianco e ginseng, che conferisce alla mia pelle una delicata fragranza naturale mantenendola morbida ma senza intaccarne il perfetto colorito ambrato. Mi asciugo con un soffice accappatoio di spugna Tommy Hilfiger e provvedo quindi alla cura dei miei capelli, che ha inizio con uno shampoo Garniere Fructis agli olii essenziali di mandorla ed uva, ideale per mantenerli soffici e resistenti. Trovo incantevole il taglio che mi ha fatto Fragnelli l'altro ieri. Dopo aver massaggiato delicatamente il cuoio capelluto con i polpastrelli - non troppo a lungo, o rischierei di vanificare l'ottima manicure opera del mio estetista omosessuale - risciacquo i capelli ed applico un balsamo all erbe per esaltarne la naturale morbidezza.
Sono le sette quando inizio a radermi, prestando attenzione a seguire col rasoio da barbiere la linea di crescita della barba, inprecedenza ammorbidita dalla crema da barba Hanorah alla crema di cocco. Una volta terminata la rasatura applico sul volto una crema dopobarba senza alcool, quindi una crema esfoliante ed una emolliente.
Sono le sette e quaranta quando mi lavo i denti con un dentifricio ad azione sbiancante Durban's ed uno spazzolino elettrico, azione necessariamente preceduta e seguita da un attento passaggio di filo interdentale. Dopo aver applicato del deodorante Breeze sul mio torace, che mi garantirà una freschezza duratura nell'arco della giornata, sono pronto per vestirmi ed andare al lavoro
A distanza di nove anni, la regista Mary Harron riesce a portare sugli schermi l'inquietante best-seller di Bret Easton Ellis "American Psycho", opera dal macabro fascino perverso e dalla lugubre ironia, capace di fotografare una generazione - quella dei rampanti "yuppie" di Wall Street - puntando sull'estremizzazione delle proprie caratteristiche e della assoluta vacuità dei loro intenti, forte di uno stile brillante, cinico e crudele nella propria disarmante efficacia.
La trama del film ricalca piuttosto fedelmente quella del romanzo da cui è tratto: il giovane broker newyorkese Patrick Bateman trascorre le proprie giornate tra raffinati banchetti, culto dell'aspetto fisico e dell'apparenza, rivalità con i propri colleghi di lavoro, sesso, cocaina ed efferati omicidi. Ma fino a dove si spingerà la paranoia di quello che a prima vista sembrerebbe uno stimato professionista della finanza?
Seduto nel mio ufficio osservo il Duomo dalla finestra; da quando è stato ristrutturato inonda la mia scrivania di rovere di una luce abbagliante; credo sia dovuto al riflesso dei raggi solari sul marmo, o qualcosa di simile; l'effetto però mi piace.
Indosso una giacca blu di lana di Tasmania leggera Canali, camicia bianca Versace, gemelli d'oro bianco Cartier,cravatta di seta Etro, pantaloni grigi Lloro Piana e mocassini neri Tod's. La voce della mia segretaria attraverso l'interfono mi avvisa che c'è un cliente in sala d'attesa per me; me n'ero completamente dimenticato, credo sia colpa delle anfetaminine.
E' sempre piuttosto difficile affrontare la trasposizione di un romanzo di successo su celluloide: le aspettative del pubblico sono maggiori, e l'ombra del confronto aleggia pericolosamente sul prodotto finale rischiando di falsarne il valore intrinseco.
In queste circostanze, la scelta dell'approccio da seguire è fondamentale per la riuscita finale del prodotto: particolare importanza in tal senso riveste lo sceneggiatore, chiamato ad intervenire su un testo rodato per renderlo funzionale alla resa cinematografica, operando scelte sostanziali sul grado di invasività del proprio bisturi che determineranno la direzione da seguire.
In questo senso Mary Harron, anche sceneggiatrice, opta per una soluzione indolore peccando di ignavia, limitandosi a riprodurre pedissequamente ma senza alcuno spirito filologico i dialoghi e le situazioni così come rappresentate da Bret Easton Ellis, senza aggiungere nulla di proprio ma senza al contempo premurarsi di conferire ai personaggi rappresentati quel lucido, folle, affascinante spessore che ne contraddistingueva le controparti di cellulosa.
Sotto la pressione del mio pollice destro il telecomando della mia Porsche 911 Carrera S Cabriolet blu notte mi avvisa con un lieve sibilo che l'antifurto è stato disinserito. Ho una prenotazione alle 20:30 ai "Quattro mori", dove cenerò assieme ad Emanuela - o era Elisabetta? Temo di fare confusione - una modella oppiomane conosciuta la settimana scorsa nella toilette dell'"Hollywood".
Al ristorante il tavolo è discreto, ed anche Elena. Indossa un tailleur Christian Dior e scarpe Fendi, ed ha un'abbronzatura invidiabile; una piacevole eredità delle sue ferie a Bali, mi spiega annoiata. Io ordino delle linguine all'astice profumate al pesto genovese in crosta di pane e della rana pescatrice allo zafferano, mentre lei preferisce rivolgersi ad un semplice risotto ai frutti di mare e ad un carpaccio di tonno, salmone e pesce spada aromatizzato al coriandolo.
La creatura di Mary Harron si presenta pertanto come un anonimo ibrido ambizioso ma timido, pretestuoso ma inconcludente, asseritamente graffiante ma in realtà perfettamente innocuo: nel collage messo assieme dalla regista non v'è infatti la minima traccia della graffiante critica sociale del romanzo, e le psicosi ossessive dei protagonisti non vengono mai realmente evidenziate nel loro rapporto di causalità con l'ambiente; unica scena efficace in tal senso quella dei biglietti da visita, in cui la tensione è funzionalmente oppressiva nel suo climax ascendente.
Eloisa ha perso ogni inibizione sessuale, dopo il Bloody Mary corretto all'ecstasy che le ho dato da bere dopo cena.
Mi è dispiaciuto farle del male, credo.
Un discorso a parte merita il cast di interpreti.
Ottimo Christian Bale, la cui fisionomia e grottesca espressività fungono da ottimo palliativo alla carenza di personalità della sceneggiatura, ma un plauso merita anche la nutrita schiera di caratteristi che lo circondano: dalla svampita Reese Witherspoon alla timida Chloe Sevigny, dal carismatico Willem Defoe al "Lynchano" Justin Theroux, tutti perfettamente in parte.
Eccellente la colonna sonora, ricalcante una serie di successi anni '80, da Katrina and the Waves ai Genesis di Phil Collins, passando per Huey Lewis & The News e Simply Red; nel complesso comunque troppo poco per aspirare a ritagliarsi un angolino nell'immaginario collettivo.
Stamattina il Patty Winters Show era incentrato sul Rapporto Tra Televisione ed Obesità.
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Recensione a cura di Jellybelly - aggiornata al 13/09/2007
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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