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"Tu non hai mai scopato con Claire se non ne parli con me"
Così diceva Elliot al fratello gemello Beverly, due affermati ginecologi di Toronto, nel film "Inseparabili" ("Dead Ringers"), pellicola del 1989 diretta da David Cronenberg. Il rapporto fra i due era complementare, maniacale, quasi ossessivo. Uno viveva in funzione dell'altro e l'unica cosa che li separava era l'ossessione per il corpo femminile e per l'utero triforcuto, simbolo di malformazione, della loro paziente Claire.
Oggi nel 2012 esistono altri due gemelli inseparabili, questa volta entrambi hanno lo stesso nome: "Cosmopolis". Il primo è il libro dello scrittore De Lillo, il secondo è il film del regista Cronenberg; uno vive in funzione dell'altro. Il rapporto fra i due è complementare, maniacale, quasi ossessivo. L'unica cosa che li separa è il veicolo artistico, il feticcio rappresentativo di due forme d'arte così simili ma anche così diverse: da una parte parole scritte su carta, dall'altra immagini impresse su uno schermo.
L'operazione minimale che il regista canadese ha effettuato sulla sceneggiatura è una trasposizione letterale della maggior parte dei dialoghi presenti nel libro, messi in scena in modo pressoché integrale. Stessa cosa dicasi per gli eventi e i luoghi descritti da De Lillo: la struttura filmica diventa il dagherrotipo della struttura letterale.
In molti (critica e pubblico) si sono chiesti il perché di questa scelta, stroncandola aspramente. La risposta è molto semplice: il testo di De Lillo è materia cronenberghiana pronta a fondersi, e confondersi, con le tematiche, l'immaginario e lo stile del regista.
Eric Parker (Robert Pattinson) è un giovane manager milionario di New York che, a bordo della sua limousine, decide di andarsi a tagliare i capelli dall'altra parte della città, nella bottega del barbiere che lo ha visto nascere e crescere. Protetto da guardie del corpo, durante il tragitto incontrerà persone che fanno parte della sua vita, si sottoporrà ad invasive visite mediche, farà sesso con l'amante e discuterà con la moglie, sino ad imbattersi in una violenta manifestazione anticapitalista che metterà a repentaglio la propria incolumità. Giunto alla meta si scontrerà poi con la propria nemesi: Benno Levin (Paul Giamatti), un uomo che per colpa dello stesso Parker ha perso lavoro e speranza e che lo ha pedinato durante tutto il suo breve viaggio.
"Cosmopolis" sbarca al 65esimo Festival di Cannes sulla sua lussuosa limousine e provoca più fischi che applausi, come spesso accade alle pellicole di autori controversi. La limousine è il vero motore propulsore del film; usando una metafora tipicamente cronenberghiana, essa è lo spermatozoo che viaggia all'interno del corpo (il tempo) e mostra il vero Eric Parker attraverso le persone che incontra, le quali rappresentano le varie sfaccettature della sua identità. Compie un tragitto che rielabora a ritroso la sua vita, sino a fecondare l'ovulo (la genesi) dove tutto nasce e tutto muore. Non è un caso infatti che Parker voglia a tutti i costi raggiungere il barbiere di famiglia, lo stesso barbiere che nasconde gelosamente i suoi ricordi d'infanzia, rischiando addirittura il linciaggio pur di rievocare immagini che appartengono al suo passato più remoto.
Il tempo è quindi lo spazio dove si muove il regista, che riesce a fondere le quattro dimensioni (tre spaziali e una temporale) in una sola, proprio come i due gemelli di "Inseparabili" volevano far parte di un'unica entità. L'elemento di discontinuità fra le dimensioni dello spazio e la dimensione del tempo diventa il corpo; quel corpo imperfetto (vedasi la prostata asimmetrica di Parker) che per l'universo del regista canadese è sempre stato l'inizio di tutte le cose.
Dunque il movimento della limousine, il suo spostarsi, il macinare chilometri, si tramuta nel passare inesorabile dei secondi, dei minuti, delle ore. Lo scopo di Parker, il raggiungere la meta, è simile all'obiettivo che aveva Seth Brundle nel film "La mosca" (1986).
In "The fly" infatti l'aspirazione del protagonista era quella di spostarsi da un punto all'altro con il solo aiuto della sua macchina del teletrasporto. Il film era una metafora cronenberghiana per descrivere l'impossibilità dello strumento cinematografico (e dell'essere umano) di cogliere i momenti cruciali dello spostamento (l'essenza di tutto), limitandone i pregi alla sola illusione di riuscire a vedere ciò che accadeva. Allo stesso modo anche noi spettatori diventavamo ciechi, non riuscivamo e testimoniare il tragitto di un uomo che voleva spostarsi nello spazio evitando le fatiche del viaggio e la dispersione del tempo.
In "Cosmopolis" siamo invece spettatori attivi di una metamorfosi che non si limita al solo corpo ma diventa totale. Riusciamo quindi a vedere i momenti cruciali dell'evoluzione psicologica di Parker (che si attua attraverso lo spostamento sulla sua limousine), un uomo che ha superato la condizione di normalità e non ha più alcuna intenzione di tornare indietro.
Il film di Cronenberg è un'analisi accurata di un animo stanco della vita e in fuga da se stesso: Erik Parker cerca nella morte (vista anche come ritorno nel ventre materno - altro tema caro al regista) la liberazione dalla rovina dell'esistenza. Il cinema pessimistico di Cronenberg, la sua disillusione nei confronti dell'uomo, riesce con "Cosmopolis" ad avere un'immagine ancor più dettagliata.
"Cosmopolis" è inoltre un accurato ritratto della società capitalistica moderna; non è dunque soltanto "Inseparabili" o "M. Butterfly" o "A Dangerous Method" (i film più psicologici del regista) ma è anche "Videodrome", "Exystenz" e "Crash" (quelli da un respiro più ampio). Il film dà sostanza all'astratto, filma il mondo dei numeri, della finanza, della moneta virtuale; tutti elementi che hanno corrotto l'essere umano allontanandolo dalla sua vera natura. La svalutazione dello yuan, su cui Parker aveva investito e da cui perderà gran parte del proprio capitale, è tanto imperfetta quanto la prostata del milionario. Il trittico corpo-mente-finanza si lega in un'unica entità, ripresentando ancora una volta il tema della fusione.
Parker è un uomo profondamente segnato dall'esterno, dai meccanismi feroci della società e la società stessa lo riconosce come suo rappresentante. L'incontro con il suo alter ego, la persona che ha rovinato, lo sublimerà per sempre nella condizione ultima, quella per cui oramai non può più fare a meno.
In conclusione è d'obbligo elogiare l'aspetto stilistico del film, dove il passaggio fra le scene all'interno della limousine e quelle all'esterno è reso alla perfezione: sembra quasi di riuscire a palpare il disagio del protagonista nel fare parte di un mondo che con il passare del tempo (e dello spazio) non gli appartiene più.
L'attore Robert Pattinson è lo specchio del personaggio che interpreta e il suo status di sex symbol è un elemento a favore del regista per rafforzare il messaggio del film.
I personaggi secondari, dalla moglie di Parker al suo consulente informatico, dal medico al capo della sicurezza, sono elementi psicologici caratteristici dello stesso Parker. Come in tutti i film del regista, i personaggi di Cronenberg sono molteplicità caratteriali, caratteristiche umane e sarebbe errato analizzarli come persone a sé stanti. Gli attori che li interpretano sono tutti bravi, da Juliette Binoche a Jay Baruchel, da Mathieu Almaric a Sara Gadon, ma il vero mattatore è Paul Giamatti che in poco più di dieci minuti riesce a nobilitare artisticamente il discorso messo in piedi da De Lillo e concluso da Cronenberg.
"Cosmopolis" per alcuni potrebbe risultare un film macchinoso, eccessivamente verboso e ripetitivo, ma non è proprio così anche la vita?
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Recensione a cura di Gianluca Pari aka VincentVega1 - aggiornata al 26/10/2012 12.39.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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