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L'etica criminale è elemento di fascinazione per cineasti e scrittori così come lo è la ricerca della ratio di questi comportamenti apparentemente antisociali ma che in realtà sono portatrici degli stessi valori che caratterizzano il "patto sociale": rispetto del prossimo, stimolo alla cooperazione, valore della famiglia,difesa della propria cultura e del proprio territorio.
Stiamo nell'URSS della seconda metà del Novecento, la grande potenza dell'Unione Sovietica inizia lentamente a sgretolarsi e nel territorio al confine tra Moldavia e Ucraina i clan criminali la fanno da padrone: stiamo precisamente nella Transnistria.
La Transnistria è un territorio conteso tra Russi e Moldavi, in realtà è una zona franca, forse l'unico vero stato criminale de facto, nel quale avvengono le peggiori aberrazioni e dove la crisi morale della Comunità degli Stati Indipendenti assume i livelli più drammatici.
In questo luogo di nessuno, dove il tempo si è fermato, il romanzo di Nicolai Lilin "Educazione Siberiana" è stato un documento prezioso per riuscire a comprendere le dinamiche di un luogo tanto remoto non solo geograficamente ma anche dal punto di vista politico e sociale. Un romanzo che si caratterizza più che per la sua storia, per le descrizioni quasi documentaristiche e brute degli avvenimenti del luogo.
In questo stato criminale esistono regole ben precise che disciplinano la vita dei cittadini come il divieto allo stupro o allo spaccio di stupefacenti, consentendo invece, il furto e la rapina se perpetrati da persone in stato di necessità.
Nicolai Lilin si interroga sul senso di tali regole apparentemente tanto lontane dalle nostre, ricostruendo la logica di quel mondo, la sua etica ma anche le sue aberrazioni.
Questo mondo sembra colpire l'interesse di Gabriele Salvatores e della Cattleya che decidono di portare in scena uno spaccato d'Europa, ma in realtà più che per spirito di denuncia sono mossi dal desiderio di creare un grande film internazionale.
E' curioso che proprio nell'anno di maggiore crisi del cinema in Italia e soprattutto per il cinema italiano, "Educazione Siberiana" sia l'ennesima produzione internazionale di casa nostra dopo Castellitto con "Venuto al mondo", Faenza con "Un giorno questo dolore ti sarà utile" e Tornatore de "La migliore offerta".
Con un budget di 9 milioni di euro Salvatores e la Cattleya hanno il grandissimo merito di portare sul grande schermo un film italiano che esce dai soliti schemi e dalle solite storie (alleluja!) e soprattutto di ampio respiro, fatto per essere venduto all'estero.
Chi scrive da anni lamenta l'eccessivo provincialismo del nostro cinema che pur di accaparrarsi i "malefici" finanziamenti pubblici, si è rinchiuso in se stesso perdendo totalmente in contatto con il pubblico. Questa premessa è necessaria nel momento in cui ci si avvicina a questo film che, seppur tutt'altro che perfetto, rappresenta un tentativo riuscito di sdoganamento della nostra cinematografia.
Gabriele Salvatores è un regista che vive di alti e bassi e dopo la stagione d'oro degli anni '90, dove ha riscosso un grande successo di critica e/o di pubblico, ha attraversato un periodo professionale tutt'altro che felice.
Dopo il grande successo di "Io non ho paura" è difficile trovare nella sua pur cospicua filmografia un unanime riscontro positivo nei lavori successivi. Spesso si è cimentato in uno sperimentalismo fine a se stesso come con "Happy Family", altre volte con opere più convenzionali ma assolutamente improponibili come ad esempio "Come Dio comanda".
Eppure "Educazione siberiana" è un punto di rottura della sua filmografia, un film che pur essendo tecnicamente ben fatto manca di personalità e la messa in scena è caratterizzata dalla riproposizione sia visiva sia di situazioni di pellicole dello stesso genere.
Non si improvvisa l'esperienza cinematografica e Stefano Rulli cerca di addomesticare il libro alle "corde" di Salvatores, scrivendo una sceneggiatura che trasforma un romanzo che come impostazione poteva anche ricordare il "Gomorra" di Garrone, in un film di formazione e di amicizia, abbandonando il contesto criminale per approfondire i lati umani dei protagonisti.
Della Transnistria quasi non si fa cenno, si parla in generale di Unione Sovietica ma i richiami geografici sono quasi inesistenti; è come se si volesse parlare di mafia senza menzionare la Sicilia. Scelta che sarebbe stata anche apprezzabile se fosse riuscita ad essere sostenuta da una regia in grado di costruire un grande romanzo umano ma purtroppo non è così.
L'"Educazione Siberiana" di Salvatores si concentra su quattro amici che vivono nel quartiere degradato di Fiume Basso, vivendo di espedienti ma sostenuti da una grande comunità, i Siberiani, e da una grande famiglia. Le strade dei protagonisti ben presto si dividono e il dualismo tra Kolyma e Gargarin, i due grandi amici del gruppo, diventa motivo di scontro, laddove il primo rispetta i principi morali e le rigide regole del gruppo sociale, il secondo sembra scostarsi preferendo intraprendere strade diverse.
Il film è raccontato attraverso un flashback che ricostruisce la storia di questa amicizia, di una vita e di un profondo tradimento che sarà il filo rosso della storia. E' evidente che l' "Educazione Siberiana" di Salvatores è in realtà un "C'era una volta in America" non solo per le tematiche ma proprio per la struttura narrativa che riprende in gran parte il capolavoro di Leone.
Dalla costruzione in flashback, passando per il tradimento, il ruolo di una donna contesa, fino al clan siberiano la cui "etica" ricorda il concetto romantico di malavita degli anni del protezionismo americano, "Educazione Siberiana" si struttura sulla falsariga dell'illustre predecessore e rischia di sfigurare platealmente.
Il problema è che non si entra mai in contatto con la realtà del luogo e di conseguenza non c'è empatia con i personaggi. Salvatores non è Leone, non riesce a dare al film quello spirito epico e nonostante il cast di qualità, non solo per il pur sembra bravo John Malkovich e Peter Stormare, ma anche per i due giovani esordienti Arnas Fedaravicius e Vilius Tumalavicius, non si crea mai un vero coinvolgimento emotivo e le storie dei protagonisti restano sospese.
Il film vive nel paradosso che pur riuscendo ad interessare lo spettatore non lo coinvolge nelle storie raccontate, saltando alcuni passaggi chiave, come ad esempio non mostrare la violenza sessuale Xenya o tralasciare alcuni avvenimenti importanti della vita dei protagonisti.
Se a ciò si aggiunge la mancanza di una colonna sonora all'altezza, si capiscono i motivi del mancato successo del film.
Il problema è che non si è fatta una scelta chiara e netta, il film resta in bilico tra la volontà di denuncia e quella di creare un grande romanzo umano. Una soluzione di compromesso che non solo non raggiunge un equilibrio ma scontenta un po' tutti, rivelandosi come un'occasione persa sebbene di qualità.
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Recensione a cura di Paolo Ferretti De Luca aka ferro84 - aggiornata al 25/03/2013 15.21.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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