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Tratto dall'omonimo romanzo di Chuck Palahniuk, Fight Club rappresenta uno dei tentativi più riusciti di espressione del disagio, del cinismo e del consumismo della società contemporanea.
Di fronte alla maniacale ossessione per l'arredamento funzionale Ikea, per gli interminabili spostamenti in aereo, per la bieca banalità delle giornate lavorative, un giovane (Norton) sceglie la via drastica della ribellione, del combattimento corpo a corpo, del terrorismo, seguendo il folle ed affascinante Tyler Durden (Pitt), incontrato in aereo. La figura scaltra, decisa e nichilistica di Tyler si insinua come una liberazione nella vita del giovane, in alternativa a quella abituale, fatta di crisi d'insonnia e di frequenti visite a centri di sostegno per malati terminali, giusto per tirarsi un po' su, per rincuorarsi della propria situazione che, a confronto di quella del povero Bob, gigantesco energumeno con le tette malato di cancro ai testicoli, non è poi così male.
Tyler diventa per Norton un maestro, una guida, quasi l'iniziatore di una setta, messianico e profetico, con i suoi brillanti aforismi ("l'automiglioramento è masturbazione".) Salverà la sua vita dal consumismo, dall'oblio, dall'irrealtà di un mondo patinato ed ovattato, terrbilmente vacuo, in cui tutto "è la copia di una copia, di una copia".
E allora, le soluzioni sono due: o si sale in aereo sperando ogni volta in uno schianto (cosa però ahimè non così probabile), o si segue uno come Tyler, ci si fa marchiare la mano con liquido corrosivo, si va a vivere in una casa disabitata lasciando ai deboli ogni comfort, e ogni mercoledì ci si rinunisce segretamente in uno scantinato, il Fight Club appunto, a massacrarsi di pugni a mani libere, senza alcun tipo di protezione.
C'è di più: l'epopea autodistruttiva è appena cominciata. Nemmeno le attenzioni di una donna particolare, incontrata ai gruppi di sostegno (Bohnam-Carter) potranno arrestare il giovane (non a caso senza nome, a sottolineare il qualunquismo del personaggio) e il suo nuovo, terribile amico Tyler nei onari ed irreversibili: mescolando napalm, nitroglicerina e succo d'arancia si ottiene un potente esplosivo. Si può far saltare in aria anche un intero palazzo. Si potrebbero, a questo scopo, riunire i membri del Fight Club e organizzarli in squadre d'azione terroristica, sotto il comando di Tyler.
In un delirio di cinsimo e sequenze rapide, riprese crude e taglienti, il regista David Fincher reinterpreta il libro di Palahniuk con grande abilità. Il film appare come una scelta di vita drastica ed irreparabile, che sembra scappare di mano al protagonista, sempre più gravemente, fino al colpo di scena finale.
Attori perfetti per le loro parti (Brad Pitt meraviglioso, con occhiali da sole e fisico marmoreo, Norton sublime, espressivo, rassegnato; la Bonham Carter carismatica, di una femminilità non convenzionale).
Inquietante, liberatorio e dissacrante, Fight Club non manca di risvolti filosofici e psicologici interpretabili nelle maniere più disparate (c'è chi ha visto nelle azioni terroristiche l'ultima, drastica propaggine delle rivolte comuniste contro il consumismo, chi l'espressione dell'anarchismo più riuscita e chi un pericoloso richiamo alle squadre d'azione fasciste).
Quello che colpisce è la devastante autodistruzione che si respira per tutto il film, non senza trovate ironiche e suggerimenti preziosi (come versare il proprio sperma in una mousse, se si è camerieri e il cliente non è particolarmente simpatico).
Da vedere, per sorprendersi e riflettere.
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Recensione a cura di MiaWallace - aggiornata al 23/12/2003
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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