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Il "resto della notte" è il momento in cui si decide del giorno, è momento per fare i conti con se stessi e con le proprie responsabilità, per riflettere sul passato e guardare fugacemente nel possibile futuro.
I protagonisti del film di Francesco Munzi, qui alla sua seconda regia, si aggirano per ambienti ostili, difficili: tutte le scene sono tagliate da muri, sono chiuse da un labirinto, insieme urbano e sociale. La storia si stende su tre nuclei famigliari, tutti devastati da qualcuno, dall'estraneo o dall'assenza di qualcosa.
Il primo gruppo che appare sullo schermo è quello altolocato, in tutti i sensi: ricca famiglia murata in una roccaforte di lusso sui colli torinesi; l'improvvisa scomparsa dei gingilli della nonna, orecchini di perla, butta legna su quel gran falò che è il razzismo. Di questo furto-rottura viene incolpata la colf rumena, Maria (Laura Vasiliu).
Il secondo gruppo famigliare è quello di due fratelli rumeni, Ianut e Victor, appena usciti da un grave lutto: l'intrusione-rottura di Maria porterà alla disgrazia.
Il terzo gruppo è spezzettato, adrenalinico, nelle parole e nel pensiero: un tossico con un figlio nelle grinfie della sua ex e del suo compagno arabo. La rottura-presenza/assenza del figlio isola completamente questo povero drogato (l'eccezionale Stefano Cassetti), che non si fida più di nessuno, neanche delle medicine che assume.
Quest'affresco è pieno di animi scossi da silenzi adulteri, gelosia maschile, coraggio di andare avanti: non c'è differenza tra ricchi e poveri, tra tossici e ricettatori, tra immigrati ed indigeni; gli affanni uniscono questi personaggi in un filo conduttore che si chiama umanità, anche se loro stessi, immersi nelle proprie bili, non se ne accorgono. Ed è questo il messaggio di Munzi: non vedete che siamo tutti uguali, non vedete che piangiamo allo stesso modo?
Di giorno o di notte le angosce restano le stesse, per tutti; tant'è vero che alla fine si incontrano tutte in un unico momento, nello stesso luogo. Ma la componente diurna e notturna è qui fondamentale, non solo d'importanza scenica. È di giorno che i personaggi si muovono in spazi aperti, in respiri e apparenti fughe dal labirinto; è di giorno che la figlia dei privilegiati parte col fidanzato in gita; è di giorno che il ragazzo tossico, che sembra un personaggio di Pazienza, strappa suo figlio dai labirinti deserti della scuola elementare per portarlo in riva al mare. Ma, in tutti questi momenti, il giorno è livido, le facce sono bianche, i capelli sporchi. La luce di questi momenti non è liberatrice, ma squallida, opaca, nuvolosa, mostra il peggio, la cecità dei personaggi, che credono di essersi divincolati dai corridoi del labirinto e invece vi affogano sempre più, come nelle sabbie mobili.
E la notte? Di notte avvengono i misfatti, esce fuori "la peggio umanità": adulteri, ladri, assassini; anche di notte, in fondo, si è tutti uguali. Ma la notte è diversa: tutto diventa "chiaro". Se si è colpevoli nella notte, allora serve un momento, un "resto", uno scarto che renda lucidi, saggi nel dolore: quel "resto" dove si può credere di cambiar vita. E allora la vera luce, quasi religiosa, è quella finale, l'ultima inquadratura, in cui la macchina da presa è ferma nell'ombra e Victor e Maria si allontanano verso la luce, chiara e solare, finché escono fuori dall'inquadratura. Come uscendo da un coma, si vede la luce d'uscita (e d'entrata insieme: ogni uscita è sempre un'entrata), una luce che si distingue dall'ombra, che svela l'uscita del labirinto e i suoi lividi e perversi giochi.
E se la macchina da presa ha ritratto per tutto il film queste umanità sofferenti, sempre in movimento, mai statiche, bisogna chiedersi: dove vanno? Cosa cercano? Hanno trovato qualcosa? È la scena finale a dircelo: Victor e Maria ritrovano la vita; madre e figlia borghesi trovano la morte, sul giardino di casa.
Entrambe le coppie hanno perso qualcuno: ma chi è che vince, se è una storia di vinti e vincitori?
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Recensione a cura di Gilles - aggiornata al 09/01/2009
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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