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Un plot complesso e raffinatamente intrigante. Una regia limpida ed efficace che contraddistingue lo spirito sempre provocatorio di Spike Lee, anche negli ultimi anni in cui si è espresso in maniera meno graffiante, ma più diretta, esplicita ed incisiva. Così si presenta "Inside Man", ultima opera del regista newyorkese, che annovera questa volta un voluto cast "patinato", tra cui spicca la presenza di due icone della Hollywood contemporanea come Denzel Washington e Jodie Foster, qui in un ruolo minore insieme con Christopher Plummer e Willem Dafoe, oltre alla stella nascente Clive Owen.
Interamente ambientato nel Financial District, racconta la "rapina perfetta" ad opera di quattro malviventi nei confronti della Manhattan Trust, caposaldo finanziario di Wall Street. Oppure questo è solo fumo negli occhi dello spettatore? Lee ci conduce insieme al negoziatore Frazier (uno splendido Washington) e al suo collega Mitchell, l'emergente Chiwetel Ejiofor, nel complicato puzzle dei sequestri, dove lo scontro psicologico tra criminali e forze dell'ordine è una partita contro il tempo, per liberare gli ostaggi resi impotenti. Il ritmo teso e le ingegnose sequenze degli interrogatori poste sotto forma di flash-forward sono il clou della visione che l'autore ha voluto inserire nel sottotesto della narrazione, in cui si svelano pian piano i dettagli della rapina.
Spike Lee è così profondamente innamorato della Grande Mela che quasi ce lo ricorda in ogni inquadratura, carpendone l'essenza e le sue disomogeneità interrazziali, utilizzandole come escamotage per raccontarci anche le minime differenze etniche della sua società. La storia ruota attorno all'occupazione della banca da parte di Dalton Russell/CliveOwen ("rapino banche perché lo so fare") con i suoi complici e da ciò lo script di Russell Gewirtz fornisce lo spunto proprio per un racconto che potremmo definire poliziesco e sociale, in cui si resta ingabbiati fino alla convulsa sequenza centrale, che è quella cardine dell'intera pellicola, quasi il finale fosse poi di complemento. E poco importa che ci siano di mezzo le nefandezze di un ricco imprenditore, le ambizioni di una cinica manipolatrice e uno scontro d'intelletti tra investigatore e degno avversario, ciò che il film esprime al meglio è la propria funzionalità all'interno di un tessuto politico ed economico, in cui sono differentemente radicate moralità e senso di redenzione.
Perché Il cinema di Lee esprime emozione, attraverso i contrasti umani e al superbo utilizzo della macchina da presa, un tocco d'autore in cui si mette in scena una storia che cita Spillaine e Chandler, immergendoli nella poetica da strada del cineasta. Esilarante in alcuni momenti, davvero cupo in altri, la pellicola presenta un montaggio di piani temporali fin troppo serrato, che insieme alla mancanza di una concreta suspence di sottofondo crea il vero limite del film, prontamente riscattato dalla dilagante riflessione sulla realtà che accompagna lo sbrogliamento della vicenda.
"Inside Man", come suggerisce il nome originale, esprime una dualità che quindi rappresenta il concetto di uomo solo "dentro" al sistema e contro di esso, oltre a quel perenne conflitto interiore che è una peculiarità insita nei personaggi di Spike Lee, dal Monty Brogan di "La 25a Ora", passando dal Jack Armstrong di "Lei mi odia", fino ad arrivare, più indietro nel tempo, al Pierre Delacroix di "Bamboozled". Tra i fondamenti moderni del genere thriller, "Inside Man" è un film che per questo va visto e apprezzato sino in fondo.
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Recensione a cura di Simone Bracci - aggiornata al 05/04/2006
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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