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Napoli, 1973: Antonio (Luca Zingaretti), Rosaria (Valeria Golino) e il piccolo Peppino sono il centro di una famiglia allargata che comprende i tre fratelli di lei e i nonni, più il cugino Gennaro (Vincenzo Nemolato) che pensa di essere Superman e che muore tragicamente investito da un autobus.
Quando Rosaria scopre che Antonio la tradisce, cade in depressione e mentre la famiglia cerca di aiutarla, Peppino scopre che non basta un autobus per uccidere Superman: Gennaro continua a vegliare su di lui e a dargli consigli su come affrontare la crescita.
Ivan Cotroneo non è il primo e non sarà l'ultimo a prestare il proprio talento al cinema pur non essendo prevalentemente un regista. Con alterne fortune, musicisti, scrittori, persino stilisti, hanno provato a mettersi dietro la macchina da presa (o peggio, davanti) per raccontare in maniera diversa dal solito le proprie storie. Da Luciano Ligabue a Madonna, da Tom Ford a Enrico Brizzi, non sempre si può dire che lasciare la strada vecchia per la nuova sia stato un bene, nonostante alcune incredibili sorprese. "La Kryptonite nella borsa" decisamente ci fa propendere per un pronto ritorno di Cotroneo alla penna e al calamaio, e per più di un motivo.
Primo, "La Kryptonite nella borsa" è l'ennesimo sconclusionato film italiano che tenta di raggiungere il pubblico più ampio possibile senza avere il coraggio di escludere qualcuno a priori e in cui ogni attore viene scelto per riproporre ancora una volta lo stesso ruolo di sempre (come la Buy, la Morante e la Mezzogiorno, anche la Golino suona sempre la stessa nota: la frustrata sull'orlo della depressione. C'è da chiedersi se questa monotonia sia dovuta a limiti personali o ad un'incapacità dell'industria di immaginare ruoli diversi).
Possibile che l'urgenza di Cotroneo fosse quella di stampare l'ennesima fotocopia? Peggio ancora, scegliendo di cimentarsi in una commedia, cadendo nell'equivoco che, essendo il genere in cui l'Italia ha dato il meglio, sia quello connaturato al nostro DNA cinematografico. Il problema è che la commedia all'italiana non era un genere facile e i capolavori degli anni cinquanta e sessanta non erano frutto dell'improvvisazione, ma della collaborazione, del lavoro e dell'esperienza di talenti immensi. Negli anni ottanta tutto è cambiato quando gli attori stessi hanno cominciato a scrivere e dirigersi da soli, anche con ottimi risultati.
Oggi invece, privi di talenti come Troisi e Verdone, ma anche di registi come Scola e Monicelli e sceneggiatori come Age e Scarpelli, si tenta di nuovo di fare film corali divertenti, con risultati al più sufficienti, almeno dal punto di vista della qualità. Se però film di per sè mediocri come "Benvenuti al Sud" e "Maschi contro Femmine" hanno almeno un'idea di fondo e sceneggiature obiettivamente scritte con criterio, "La Kryptonite nella borsa" non raggiunge nemmeno il minimo sindacale.
Sia ben chiaro che questo non è un processo alle intenzioni a priori (non sarebbe neanche sbagliato, comunque). Il film è noioso e lento, non fa ridere, non fa piangere, non fa pensare, non lascia nulla. La sensazione principale che si ha è quella di assistere ad un film poco pensato, in cui molti talenti, invece di sublimarsi reciprocamente, sono stati neutralizzati da una regia incerta e scontata e da una scrittura priva di guizzi. Questo film non convincerà nemmeno il pubblico meno esigente, perchè, semplicemente, non funziona.
Non funziona nessun personaggio, non funziona nessun attore, neanche quelli più esperti, evidentemente confusi dal continuo cambio di registro. La maggior parte dei personaggi vengono appena abbozzati per essere usati in una o due gag (vedi il nonno e lo zio "intelligente", ma anche lo stesso Gennaro Superman), mentre alla distanza esce il solito melodramma coniugale. Non funziona la trovata del bambino e dell'amico immaginario, perchè il personaggio del bambino non ha un arco narrativo convincente, cosa che del resto si può dire di qualunque personaggio.
Napoli negli anni settanta sembra ricostruita in studio con fondali di cartone. Il linguaggio dei personaggi sembra un po' troppo moderno e pulito per una storia del genere, cosa che fa pensare che l'ambientazione negli anni del boom o giù di lì serva solo a giustificare i costumi (belli, ma comunque sbagliati) e una colonna sonora che più banale non si può.
"La Kryptonite nella borsa" ricorda, si parva licet, "I Tenenbaum", filtrati però da Montalbano e Un Posto al Sole: una bizarra famiglia allargata napoletana negli anni sessanta, ma se poi tutto si riduce a una storia di corna, ecco che tutto è più chiaro. Tutto quel che fa colore (dai costumi, ottimi ai personaggi secondari) serve a dare l'illusione di aver portato il cinema italiano ad un livello internazionale, di essere capaci di girare un film corale che non sia "Maschi contro Femmine", mentre poi si vuole solo mettere in scena la solita commedia senza pretese, refugium peccatorum del nostro cinema.
E allora i soliti ruoli, le solite battute, le solite dinamiche, l'ennesima, trita, scena di ballo che dovrebbe essere divertente perchè, chissà per quale motivo, dovrebbe far ridere veder ballare degli attori (stavolta ce la regalano Libero De Rienzo e Cristiana Capotondi).
Secondo (sì, finora era ancora il primo motivo): a Cotroneo il salto non riesce. Il ritmo compassato del film, pessimo per una commedia, dilata il tempo all'inverosimile disperdendo l'attenzione dello spettatore su una serie di personaggi del tutto inutili, spostando continuamente l'attenzione dalla madre al figlio. Sembra un pessimo adattamento di un mediocre romanzo, al più l'episodio pilota di una fiction della RAI (chè a Mediaset le fanno un po' meglio). Con tutto il rispetto per il lavoro altrui, non ci si inventa registi, non ci si inventa attori (anche se forse è più facile), non ci si inventa sceneggiatori. Soprattutto, non ci si inventa registi se non si ha un'idea di regia che non sia vestire Zingaretti come un imitatore dei Cugini di campagna.
In ultima analisi, Cotroneo si è seduto su un trono fatto di cast artistico e tecnico di prim'ordine, produzione e distribuzione di serie A, senza esserseli meritati e senza saperli gestire.
Le colpe non sono solo sue, è ovvio, visto che poi questo film viene presentato in pompa magna ai festival e le città sono tappezzate di poster.
Se i risultati sono questi, siamo sicuri che dare un'occasione a qualche regista giovane, sconosciuto ma preparato non sarebbe molto, ma molto meglio per tutti?
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Recensione a cura di JackR - aggiornata al 04/11/2011 15.22.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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