Voto Visitatori: | 5,13 / 10 (4 voti) | Grafico | |
Voto Recensore: | 4,50 / 10 | ||
"Raccontare il ventre molle dell'America, quello più disagiato che i politici ignorano" questo è l'obiettivo dichiarato di Roberto Minervini, regista italiano da anni emigrato negli Stati Uniti con questo lungometraggio, "Low tide" (Bassa marea), secondo capitolo di una personale trilogia che iniziata con "The Passage", si completerà con un ulteriore lungometraggio, attualmente in fase di montaggio.
Siamo lontani anni luce dal sogno americano, dal petrolio e dai miliardari texani. Quella di Low tide è una storia di marginalità di chi il sogno americano non solo probabilmente non lo ha visto, ma nemmeno pensato o agognato.
Come per "The Passage" anche "Low tide" è ambientato in Texas, in una piccola comunità rurale dove si muove un ragazzino di 12 anni, centro del racconto e guida verso un contesto di povertà e sopravvivenza quotidiana.
Fin dall'inizio la camera a mano segue costantemente il piccolo protagonista intento a prendere da un distributore automatico un sacco pieno di ghiaccio, che porterà presso la propria casa. Una volta arrivato, si cimenterà in piccole faccende domestiche per dare un minimo di ordine all'abitazione. Solo qualche parola di circostanza con la madre che lavora presso una ditta di pulizie, poco interessata alla vita del proprio figlio e decisamente più orientata a fare bagordi con i propri amici, le cui tracce vengono sempre ripulite dal ragazzo.
Nella sua estrema essenzialità è questo il canovaccio di "Low tide", cioè riprendere con più realismo possibile la quotidianità di questo ragazzo e del suo difficile rapporto con la madre o meglio dalla mancanza quasi assoluta di un rapporto. Questo nucleo è la parte più interessante del film perché ci mostra un rovesciamento dei ruoli tra questi due personaggi. Infatti abbiamo un figlio che fa le veci materne nei confronti della sua stessa madre: mette in ordine la casa, fa il bucato, spesso e non certo volentieri deve mettere a letto il genitore dopo l'ennesima sbronza serale e sopportarne in silenzio la sua promiscuità sessuale. Inoltre aiuta la stessa madre nel proprio lavoro nell'impresa di pulizie e, per rimpinguare le magre entrate finanziarie, con un vicino di casa raccattano lattine di bibite per pochi dollari.
E' un'esistenza contrassegnata da una profonda solitudine senza amici coetanei con cui giocare o condividere interessi comuni per quelli della sua età. Trascorre la maggior parte del tempo da solo, al massimo con la compagnia di animali, unico passatempo che si concede. E' un ragazzo che ha saltato direttamente l'infanzia e l'adolescenza e si è responsabilizzato a tal punto da comportarsi come un adulto.
Quell'adulto che in teoria dovrebbe essere il ruolo naturale di una madre, ma che, in questo caso, attua un comportamento simile al classico figlio scapestrato e sfaccendato. Irresponsabile, immatura e cosa più importante, completamente anaffettiva nei confronti del proprio figlio. Sono solo due braccia che possono essere utili ai propri scopi e nulla di più. Non uno slancio di affetto, nessun tipo di ostilità, solo tanta indifferenza.
Il film di Minervini richiama molto le pellicole dei Dardenne nel descrivere una storia di marginalità da piccole realtà quotidiane, cercando anche con l'ausilio di attori non professionisti quella spontaneità nel gesto, tale da risultare il più autentico possibile nella resa sullo schermo.
Tuttavia manca quell'empatia con i personaggi che al contrario i cineasti belgi sapevano creare con lo spettatore, basti pensare a "Rosetta o "Il figlio".
La sceneggiatura di Minervini è eccessivamente scarna, a cui la poca presenza di dialoghi non viene bilanciata in maniera sufficiente dalla potenza evocativa delle immagini e ciò ne risente anche nella resa dei due personaggi principali.
Nella desolante solitudine del ragazzo, la ripetitività nell'eseguire le più banali azioni domestiche, il suo bussare a tante porte, porta inevitabilmente alla monotonia perdendo per strada dei buoni spunti che potevano essere elementi di arricchimento della pellicola. Viene da pensare per esempio a quando vede dei coetanei passare con delle biciclette, senza che abbia un minimo di trasporto verso dei ragazzi della propria età. Un personaggio quindi talmente adulto da risultare eccessivamente monocorde.
Inoltre la scelta di seguire sempre il ragazzo non solo fa diventare tutto il film un festival della ripetitività, ma soffoca sul nascere il proprio contraltare, cioè la madre, che se da un lato è il ritratto di un'altra solitudine che vive sotto lo stesso tetto del figlio, dall'altro priva il film di quello che poteva essere l'altro motore, perfettamente speculare al figlio. Così come lo si presenta il personaggio della madre vive al massimo di un pallido riflesso del figlio, senza riuscire non tanto a spiegare in pieno, ma almeno a far intuire il perchè di tanta anaffetività nei confronti del ragazzo.
Anche il tentativo di suicidio, gesto estremo di aiuto che il figlio attua per mostrare la propria esistenza nei confronti della madre, sfocia in una scena di apparente riconciliazione e di ristabilimento dei rispettivi ruoli, ma priva della necessaria emotività per esprimere appieno tutta la catarsi.
Una storia di infanzia rubata, poi riacquisita, con poco spessore, che partiva da uno spunto di base molto buono ma mal sfruttato, con il risultato di un film monotono, che, malgrado la durata relativamente breve, sarebbe stato più opportuno farne al massimo un mediometraggio, non di più.
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Recensione a cura di The Gaunt - aggiornata al 09/10/2012 12.16.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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