Voto Visitatori: | 8,73 / 10 (97 voti) | Grafico | |
Voto Recensore: | 8,00 / 10 | ||
Commedia scritta e recitata dal grande Edoardo Scarpetta, padre naturale dei fratelli De Filippo, servita anche da trampolino di lancio proprio per Eduardo, Peppino e Titina, "Miseria e nobiltà" deve la sua grande popolarità al film girato dall'attore napoletano Antonio De Curtis detto Totò per la regia di Mario Mattoli.
L'idea iniziale di Mattoli e De Curtis era quella di trasporre sul grande schermo la trilogia di Scarpetta sulla maschera di Felice Sciosciammocca, personaggio buffo e sfortunato; e infatti oltre a questo film Totò interpretò Sciosciammocca ne "Il medico dei pazzi"e "Un turco napoletano", ma l'apice della comicità aiutato dalla regia impeccabile e soprattutto dai validissimi cointerpreti si avrà proprio con questa pellicola del 1954, girata in technicolor e forse considerata come uno dei capolavori del comico napoletano.
Al centro della vicenda la fame e la mancanza di lavoro, poiché sia Sciosciammocca, di mestiere scrivano, che l'amico Pasquale (il grande Enzo Turco), di mestiere fotografo ("salassatore" nella commedia originale di Scarpetta), hanno scelto dei lavori ormai desueti, poco richiesti, e quindi vivono nell'inerzia occupando le loro giornate impegnando i loro miseri capi di abbigliamento o litigando a causa della coatta coabitazione.
Tra un litigio e l'altro però Turco e Totò daranno vita a delle scenette memorabili: prima tra tutte quella del famoso paltò del matrimonio di Pasquale, in cui Turco da spalla si trasforma in abile primattore servendosi di Totò come comprimario di lusso ed originando il tormentone "sennò desisti", utilizzato anche in una recente pubblicità di prodotti alimentari.
La storia rappresentata sullo schermo come una rappresentazione teatrale quindi strutturata su "quadri" è però piena di momenti topici: la scenetta tra Totò scrivano e il cafone che si fa scrivere una lettera gratuitamente al compare-nipote o il quadro che chiude il primo atto con il grande elogio degli spaghetti, monumento del popolo eternamente affamato che vede con il piatto di pasto cu a pummarola 'n coppa il soddisfacimento dei propri bisogni primari e quindi anche la vittoria contro la miseria morale e materiale.
Nella seconda parte del film, più farsesca, si impongono sulla scena dei giovani ma promettenti attori destinati a mantenere per decenni il dominio delle scene: Carlo Croccolo, corteggiatore della figlia di Pasquale, giovane fatuo dall'accento snob e dall'eterno tormentone "bellezza mia" e Sofia Loren, innamorata del marchesino Eugenio che per lei organizza la farsa dei falsi nobili.
Le gag ed i colpi di scena si susseguono continuamente, abilmente gestiti dalla regia di Mattoli, permettendo a tutti gli attori di sfogare la propria vis comica tutta partenopea, dagli adulti al piccolo interprete Franco Melidoni nel ruolo di Peppeniello con il suo "Vincenzo m'è pate a me" banco di prova per molti attori (gli stessi De Filippo furono lanciati sul palcoscenico con lo stesso ruolo).
In conclusione la pellicola non mostra minimamente l'usura del tempo ed anzi continua ad avere lo stesso smalto dell'epoca, lanciando tra i frizzi e le battute anche delle pillole di saggezza: quale è la vera nobiltà? Quella del nome o quella dell'animo?
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Recensione a cura di peucezia - aggiornata al 12/10/2007
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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