Recensione nick mano fredda regia di Stuart Rosenberg USA 1967
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Recensione nick mano fredda (1967)

Voto Visitatori:   7,89 / 10 (40 voti)7,89Grafico
Voto Recensore:   9,00 / 10  9,00
Miglior attore non protagonista (George Kennedy)
VINCITORE DI 1 PREMIO OSCAR:
Miglior attore non protagonista (George Kennedy)
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locandina del film NICK MANO FREDDA

Immagine tratta dal film NICK MANO FREDDA

Immagine tratta dal film NICK MANO FREDDA

Immagine tratta dal film NICK MANO FREDDA

Immagine tratta dal film NICK MANO FREDDA
 

"Violation" è la scritta che compare nei parchimetri di una strada, mentre un uomo, tranquillamente, li sta "decapitando" senza un apparente scopo, senza nemmeno rubare gli spiccioli al loro interno; sembra solo una bravata da ubriacone. Nick Jackson (in originale il suo nome è Luke) viene condannato a scontare due anni di lavori forzati presso una colonia penale e già dal suo arrivo ci accorgiamo che non è l'autore di una semplice goliardata: di fronte a soggetti che hanno nel loro curriculum penale reati come omicidi, rapine o furti, il suo dice che è stato un veterano di guerra (presumibilmente in Corea), perdipiù decorato con medaglie al valore. Stranamente, però, si è congedato come soldato semplice, dopo che era giunto fino al grado di sergente.

Il film non mostra alcun flashback della vita passata di Nick, limitandosi soltanto ad una scarna cronistoria letta dal direttore del carcere (soprannominato "Il Capitano"); ma è forse proprio durante il periodo passato sotto le armi che nasce e si sviluppa in Nick una spiccata insofferenza ed una ribellione verso i modelli della società attuale, a suo modo di vedere profondamente ingiusta, chiusa in se stessa e repressiva verso tutti coloro che non sono allineati ad essa. L'atteggiamento ribelle verso le autorità costituite si manifesta immediatamente appena entrato in contatto con la realtà carceraria.
Qui non solo vige il regolamento "ufficiale", a cui tutti i detenuti devono attenersi, snocciolato dal direttore all'arrivo nella colonia, ma impera l'accondiscendenza degli stessi ristretti, pronti a collaborare con remissività verso le autorità carcerarie pur di non avere noie.

Lo scontro della forte personalità di Nick con questa realtà si rivela appieno nella bellissima scena dell'improvvisato incontro di boxe contro Dragline (interpretato da un magnifico George Kennedy) che si svolge nel cortile della colonia sotto gli occhi vigili delle guardie carcerarie che lo permettono solo come valvola di sfogo per controllare maggiormente i detenuti.
Nick in questa scena viene ripetutamente colpito e mandato a terra, ma ha la forza di rialzarsi ogni volta e continua a combattere pur essendo consapevole che non vincerà mai. Ad ogni invito di Dragline ad arrendersi e rimanere a terra, Nick oppone un risoluto "Dovrai prima ammazzarmi".
I detenuti, dapprima semplici spettatori/tifosi, occupati a godersi lo spettacolo, pieni di incitamenti, vengono colpiti profondamente da questo uomo indomito, passando dal chiasso becero da osteria al più profondo silenzio.
Nick, soprannominato Mano Fredda da Dragline per la sua abilità al poker, è diventato, suo malgrado, il riferimento dei detenuti; simbolicamente è un Cristo, come si può ben vedere alla fine della scena della scommessa delle cinquanta uova, quando steso sulla panca assume una posa da crocefisso, quasi un presagio del martirio che subirà alla fine.
L'ostilità del Sistema/Carcere nei suoi confronti diventa lotta aperta. Punito per evitare una sua eventuale fuga, dopo aver avuto notizia della morte della madre, riesce a fuggire per poi essere ripreso dopo poco tempo. Ma nemmeno nuovi lacci e catene aggiuntive riusciranno a fermarlo. Fuggirà di nuovo e con lui spiritualmente anche i suoi compagni di detenzione assaporeranno un po' di quella libertà a loro negata.
Quando viene nuovamente catturato, verrà preso di mira maggiormente dal direttore del carcere. La repressione nei suoi confronti è durissima e Nick si arrende tra lo stupore dei suoi compagni, che non gli perdoneranno questo suo tradimento. Nick adesso è docile, un agnellino servizievole oltre ogni aspettativa. Quando però il sistema allenta la sua presa, Nick alla prima occasione propizia, dismette la maschera da agnello e fugge di nuovo, dimostrando ancora una volta, anche a chi lo aveva rinnegato, che il suo spirito non è morto, ma che aveva solo dovuto fare i conti con le sue umane debolezze.

Paul Newman, interprete di circa ottanta pellicole, con questo film ci regala senza alcun dubbio uno dei personaggi migliori, se non il migliore della sua carriera. Il suo Nick è un eroe ribelle e disincantato allo stesso tempo; non è pervaso da rabbia pura. In fondo si evidenzia un rimpianto verso quella vita normale che ha tentato di intraprendere senza riuscirci, ben risaltato nel colloquio con la madre morente e prima di morire, invocando invano un Dio assente. E' pienamente consapevole che sarà sempre sconfitto da quel Sistema che disprezza, ma non rinuncia mai a lottare di fronte ai soprusi, alle ingiustizie ed a tutto ciò che contrasta con i propri valori. Nick ha come unico referente sé stesso, è un uomo libero da ogni vincolo, pervaso da uno spirito anarchico che il Sistema non può tollerare.

Stuart Rosemberg dirige con estrema sicurezza questa pellicola riuscendo a pilotare con maestria l'ottimo cast di attori a disposizione, tra cui spiccano George Kennedy, che con il personaggio di Dragline otterrà l'Oscar di migliore attore non protagonista, un'intensa Jo Van Fleet nella parte della madre di Nick, eccellenti caratteristi come Joe Don Baker ed Harry Dean Stanton ed un giovane Dennis Hopper pre "Easy Rider".
Ottimo anche Strother Martin nella parte del direttore del carcere, perfetto nella sua perfomance caricaturale, quasi macchiettistica nel rappresentare l'ottusità di quel Sistema sbeffeggiato fino alla morte da Nick. Tale ottusità si rivelerà controproducente: uccidendo l'Uomo, crei il Simbolo.

Film ambientato in un carcere, ma non un jail-movie in senso stretto.

Rosemberg e l'ottima sceneggiatura di Frank Pierson e Donn Pearce tratta da un suo romanzo, non si fossilizzano nei clichè del genere; l'atipicità di questa pellicola sta nel proiettarsi all'esterno del carcere, anziché studiarne le tematiche interne, ridotte al minimo essenziale. Di ottima qualità anche la malinconica colonna sonora di Lalo Schifrin.

"What we got here, is a failure to communicate."

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Recensione a cura di The Gaunt - aggiornata al 22/08/2007

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