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Il termine "requiem" si riferisce, nell'ambito della tradizione cristiana, ad una particolare tipologia di ritualità. La messa di requiem, infatti, è un rito che viene celebrato in onore e ricordo dei defunti. In questo caso però, il defunto non è una persona in carne ed ossa, ma un sogno. Il film ne rappresenta la messa di requiem.
Questo è il biglietto di presentazione del film.
Per il soggetto che tratta, "Requiem for a dream" di Aronofsky va a seguire la scia intrapresa da "Trainspotting", gettando uno sguardo da vicino su uno dei problemi che più ha colpito le sensibilità negli ultimi 50 anni: il consumo di sostanze stupefacenti, di ogni natura, da droghe pesanti come cocaina ed eroina, fino ad arrivare a barbiturici e anfetamine.
Tuttavia, non si pone mai, in nessun momento, in maniera documentaristica, ma la tecnica cinematografica, magistralmente utilizzata dal suo regista, è tutta tesa al coinvolgimento emotivo e, per certi versi, spirituale dello spettatore. E' in questo aspetto che si concentra tutta la potenza destabilizzante del film.
Il coinvolgimento è infatti sempre tenuto acceso da una sceneggiatura semplice, ma essenziale, e una colonna sonora che riesce a strappare lo spettatore dalla poltrona, per condurlo in una dimensione esistenziale parallela, in cui l'umanità perde significato e il dolore diventa l'unico dio.
Senza contare l'incredibile abilità interpretativa di tutto il cast: se infatti Jared Leto e Jennifer Connelly offrono un'interpretazione emozionante e suggestiva, quella di Ellen Burstyn vale da sola il motivo per vedere il film.
Tutti questi elementi - coniugati con una regia sempre attenta e ricca di espedienti rappresentativi, e, soprattutto, di una coscienza di cui si percepisce la consistenza aldilà delle immagini e aldilà della storia - contribuiscono a dipingere intorno allo spettatore un'atmosfera straziante e perversa, ma così orribilmente reale, che ha il potere di prenderlo per mano e condurlo alla scoperta di un percorso disegnato da lei stessa, un percorso che non può che condurre che in una sola direzione: la fine.
E si tratta di una fine intesa come annullamento di tutto, di ogni prospettiva futura, in cui non esiste nessuna possibilità di redenzione e la speranza non può che esistere che come beffa o, tutt'al più, come ulteriore tormento.
Gigante Aronofsky ha l'intuizione di fare delle sostanze stupefacenti, non il soggetto e motore della vicenda, ma uno strumento al servizio di qualcosa di orribile, spaventoso, quanto di difficile individuazione; probabilmente una forza che sta aldilà delle coscienze dei personaggi e che si fa il vero motore della narrazione. Una forza di natura esistenziale il cui potere distruttivo non lascia traccia dell'evanescente, troppo inconsistente sogno svenduto in ogni angolo di strada.
Inquietante ma dall'immenso fascino seduttivo.
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Recensione a cura di echec_fou - aggiornata al 24/10/2005
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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