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L'India è un paese che si appresta a diventare una delle maggiori potenze politiche mondiali ma, oggi come ieri, le contraddizioni economiche e sociali ne caratterizzano l'immagine all'estero. "Who wants to be millionaire?" è un formato di successo in tutto il mondo, ma in un Paese tanto difficile ha rappresentato qualcosa di più, diventando un vero e proprio fenomeno di costume, un'occasione di riscatto sociale e un sogno a portata di tutti.
Tratto dal romanzo di Vikas Swarup in "Question and answer" il regista inglese Danny Boyle dà voce a questo sogno, portando sul grande schermo un film duro e di denuncia ma anche una dichiarazione d'amore per il cinema indiano.
Jamal è un ragazzo delle immense baraccopoli di Bombay, che dopo una vita di stenti e di miseria arriverà a partecipare a "Chi vuol essere milionario".
La sua partecipazione sarà caratterizzata più che dalla sua scalata al montepremi, dall'accusa di truffa che lo condurrà fino all'arresto.
Lo spunto del film è decisamente interessante e Boyle ci sa fare a mantenere un ritmo adeguato. In primo luogo lo stile narrativo è asciutto e dinamico e il film è articolato in continui flashback che hanno come riferimento le domande del programma.
Qui va dato atto che la trovata di imporre il racconto in questo modo crea una perfetta fusione fra il quiz e la vita dei protagonista, facendo della scalata al milione, efficace metafora della vita di quest'ultimo e della sua rivincita.
La prima ora "The Millionaire" è grande cinema: il racconto dell'India di Boyle è quanto mai efficace, grazie anche all'uso della telecamera a mano; tecnica che, a differenza di altri registi, dimostra di sapere ben padroneggiare. Lo spettatore diviene così direttamente partecipe delle vicende e dei drammi, risucchiato dallo squallore e dal degrado delle baraccopoli indiane.
Il film non risparmia niente, il suo intento di denuncia è forte, alcune situazioni raccontate sono veri e propri "pugni nello stomaco".
Boyle, consapevole della crudezza della storia, riesce però a raccontare il tutto senza compiacimento ma con una leggerezza disarmante, in perfetta armonia con un popolo che, nonostante i drammi cui quotidianamente vive, riesce a fare della serenità la sua forza per andare avanti.
Boyle può anche contare sull'appropriata colonna sonora di AR Rahman, che è un perfetto connubio tra musica pop occidentale e classici della musica indiana.
In questa fase il film regala momenti di rara profondità, come la scena della caduta nella cloaca del piccolo Jamal, unico modo per raggiungere il suo idolo e metafora della potenza del cinema soprattutto in regioni del mondo tanto difficili.
Boyle padroneggia bene il linguaggio delle immagini e riesce a dirigere i bambini del film in modo impeccabile, come aveva già dimostrato di saper fare con il bravissimo Alexander Nathan Etel in "Millions".
Qualcosa si rompe però verso la seconda parte; quel capolavoro asciutto e dinamico comincia a macchiarsi con trovate già viste, introducendo sviluppi narrativi di una banalità disarmante: l'amore irraggiungibile, la donna del boss, la scalata al crimine e così via.
Una parziale scusante può essere attribuita al romanzo da cui è tratto il film, ma sta di fatto che si prosegue con un'eccessiva banalizzazione dei personaggi, che fa sì che il film perda di credibilità, cadendo in un banale manicheismo che ha il suo apice nella figura del "presentatore cattivo", francamente improbabile e fuori luogo.
Purtroppo il finale non è da meglio: Boyle non ci risparmia nemmeno il classico "inseguimento" alla ricerca dell'amore perduto, quando sarebbe bastata una semplice chiamata al cellulare...
Insomma, ingenuità di sceneggiatura giustificabili se ci fossimo trovati in presenza di una commedia romantica, ma in questo caso imperdonabili, visto che durante la prima ora il film aveva dato l'idea di essere un vero e proprio capolavoro.
Si potrà obiettare che Boyle vuole fondere la fiaba alla drammaticità della realtà indiana, ed è innegabile che dietro alcune scelte - sia di stile che di sceneggiatura - ci sia la volontà di rendere omaggio anche alla sterminata cinematografia di questo paese (evidente nei bellissimi e originali titoli di coda).
Bollywood ha fatto dei suoi musical un marchio di fabbrica, e la maggioranza dei film prodotti in India tende ad incentrarsi su una figura dell'eroe che contro tutto e tutti riesce a conquistare la sua amata.
Forse posto in questi termini Boyle vuole dare un tocco esotico non nello stile ma anche nel contenuto al suo film; purtroppo però l'evolversi della storia stride troppo con le premesse iniziali, e questo non può certamente non essere notato da un pubblico occidentale.
Già dato per favorito agli Oscar, anche se va detto a scanso di equivoci che i migliori titoli che concorreranno usciranno nelle prossime settimane, "The Millionaire" potrebbe sicuramente avere le carte in regola per conquistare qualche premio, avendo in sé l'ottimismo che tanto piace all'Academy, ma resta il fatto che non è il capolavoro che ci saremmo aspettati.
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Recensione a cura di Paolo Ferretti De Luca aka ferro84 - aggiornata al 18/12/2008
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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