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"Maccarone, m'hai provocato e io me te magno". Con questa frase Nando Morioni, alias Santi Byron, alias Albertone Sordi, passa alla storia della commedia all'italiana. Già apparso come personaggio secondario nel film corale "Un giorno in pretura" (1953), Moriconi, eterno bambinone, torna da protagonista e mattatore assoluto in una pellicola che ha fatto epoca e che ha consacrato un giovane attore di talento a stella di prima grandezza.
Siamo nei primi anni Cinquanta, un'Italia che a fatica si sta scrollando di dosso le macerie della Seconda Guerra Mondiale e che sta venendo lentamente conquistata da mode e modi d'oltreoceano. Il personaggio inventato da Sordi è il simbolo di questa lenta e poco subliminale seconda campagna d'Italia: parla un inglese totalmente inventato, una sorta di gramelot che fa di lui un personaggio buffonesco ma anche un perdigiorno, un buono a nulla capace solo di lamentarsi. Indossa un paio di jeans attillatissimi, suscita l'interesse di una sprovveduta camerierina (Maria Pia Casilio) e i dolori e le angosce dei suoi genitori (la mamma è Anita Durante, una celebre attrice del teatro romanesco). Moriconi è l'antitesi dell'italiano che si rimbocca le maniche per contribuire al bene del suo paese: infatuato di un'America fatta di film western e canzonette sogna di andare a Kansas City, ma ignora che il "sogno americano" di cui va cianciando è fatto soprattutto di sudore e sacrificio.
Il film scivola allegramente col sottofondo di una gaia marcetta yankee, tra gags ed equivoci di vario tipo grazie anche al contributo dei caratteristi, molti dei quali si ritroveranno in seguito in altri film di Sordi e tra cui c'è anche il giovanissimo Carlo Delle Piane, successivamente consegnatosi a Pupi Avati. Volendo esaminare a fondo il film duole dire che, in effetti, ne possiamo ricordare solo alcune sequenze: le scene iniziali nel teatrino di quart'ordine nel quale il protagonista lavora come ballerino con l'improbabile nome di Santi Byron, gli equivoci con i soldati americani che scambiano il povero Nando per un tedesco a causa del suo idioma incomprensibile che il Nostro ostinatamente chiama inglese, l'incontro-scontro con due ricchi americani, il siparietto con una stranita guardia notturna, l'involontaria incursione finale in abito adamitico in casa di una bella attrice casualmente documentata dalla televisione, all'epoca ancora ai primordi nel nostro Paese.
Sordi fa il mattatore di prim'ordine, capace di tenere scena dalla prima all'ultima sequenza, cialtrone come non mai, già prepara il terreno ai suoi "italiani" sempre pronti a schierarsi col vincitore di turno, imbelli e buoni a lagnarsi, ma in fondo buoni di cuore. Alla sua recitazione, si aggiungono la sua mimica, il faccione da bimbo cresciuto che contribuiscono a creare il personaggio del giovane Nando. Il film quindi si regge totalmente su Sordi, poiché gli altri attori di contorno, tutti abili caratteristi non fanno altro che fargli da spalla e porgergli le battute. La trama esile quindi finirebbe col afflosciarsi su se' stessa se non fosse stata affidata a un genio comico come il suo. Dispiace dire quindi, trattandosi di una pellicola storica della nostra cinematografia, che il film convince solo a metà anche se l'intento satirico ed ironico del regista sono fin troppo evidenti.
Steno, il regista del film, ha avuto senz'altro una grossa intuizione prendendo in giro i giovanotti che, come disse Carosone in una sua canzone uscita proprio in quegli anni, vonno fa' l'americano ma so' nati in Italy, ma al di là della presa in giro bonaria e dell'abuso delle doti di Sordi, non va oltre il bozzetto di colore. Al giorno d'oggi del film ci restano le gags, le frasi famose, ma di sicuro le prove di là da venire sia del regista che dell'attore sono molto più significative per valutarne la grandezza.
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Recensione a cura di peucezia - aggiornata al 10/10/2006
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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