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Seguendo la moda cinematografica del momento che vuole trasporre sul grande schermo vecchi e nuovi “miti” televisivi (vedasi i casi di "Charlie’s Angels", "Starsky and Hutch" e forse a seguire "Dallas") anche Nora Ephron celebrata regista di commedie sentimentali gradite sia dal pubblico che dalla critica ("Harry ti presento Sally" prima tra tutte ma anche "C’è post@ per te" frizzante remake di un classico del cinema) si cimenta con "Vita da strega" (titolo originario "Bewitched") serie televisiva alquanto stupidotta con protagonista Elizabeth Montgomery, (figlia d’arte di Robert, attore assai popolare nei primi anni Cinquanta) che ha accompagnato gli americani per quasi dieci anni e che ha introdotto in maniera subliminale il woman power (infatti l’interprete femminile è una casalinga tutta torte e faccende domestiche, ma è soprattutto una strega tra l’altro molto intuitiva, ha una madre anch’ella strega e dominante mentre il protagonista maschile è piuttosto insipido e incolore).
Tuttavia la strada scelta dalla Ephron non è quella del remake tout court, ma bensì è quella del metacinema cioè della storia nella storia. La cosa di per sé sembrerebbe essere interessante nonché sperimentale inoltre l’aver scelto di raccontare la storia di una vera strega (quindi se vogliamo leggere “oltre” il copione si può considerare la strega come una persona “diversa”) che non si accetta e che quindi vorrebbe essere come tutti gli altri potrebbe avere una valida giustificazione se si vuole fare un’analisi psicologica dell’intreccio, ma, volendo invece limitarsi a un’analisi della pellicola in sé, è d’uopo elencarne i vari difetti.
La scelta dei due protagonisti è stata lunga e “perigliosa”; tra gli attori in lizza per il ruolo da protagonista maschile c’era anche Jim Carrey, mentre tra le attrici, concorreva anche Jennifer Aniston. Purtroppo i due attori prescelti non hanno reso a sufficienza.
Will Ferrell,divo televisivo, (è stato protagonista di Saturday Night Live, il popolare show targato U.S.A.) nonostante gli sforzi, non riesce proprio a fare il “simpatico” facendo persino rimpiangere l’originale Dick York, attore davvero mediocre già protagonista maschile nella serie anni Sessanta, mentre Nicole Kidman, ultimamente fin troppo inflazionata sugli schermi, sembra muoversi senza credere affatto alla sua parte, spinta solo-forse-dalla volontà di lavorare anche in un film di “cassetta” dopo tante prove di un certo impegno, probabilmente poco digeribili per un pubblico dal palato troppo facile.
Anche le comparsate di lusso di Michael Caine e Shirley Mac Laine, sebbene vivaci e ben calibrate, non servono a risollevare una pellicola che non prende il volo fin dall’inizio e il cui solo merito può essere quello di aver ricordato il vecchio serial televisivo di cui porta il titolo.
Per concludere, chi ha voglia di passare una serata spensierata farebbe meglio a scegliere un altro film e a vedere gli interpreti di questa storia in altre pellicole sicuramente migliori.
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Recensione a cura di peucezia - aggiornata al 24/11/2005
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