campioni (2023)

C'era una volta i fratelli Farrely, coppia di registi tra le più sboccate di Hollywood. Profondamente cambiati una volta iniziata la carriera da singolo, Peter si è fatto valere soprattutto con Green Book, mentre Bobby dirige questo Champions con il pilota automatico delle storie di redenzione attraverso lo sport. La disabilità, tema portante del film è reso non tanto in mnaiera superficiale, quanto in maniera scontata come tutto il plot narrativo. Di fronte a questa rigidità di schema ci rimettono un po' gli attori, dove comunque Harrelson rimane sempre sul pezzo ed offre uno sguardo dall'esterno dei "normali" su questo gruppo di ragazzi, che sono una squadra ben affiatata, ma da cui non emerge alcun personaggio da ricordare.

Solita storia di un coach che capisce i valori dello sport allenando una squadra di ritardati e menomati mentali.La cosa che fa incazzare è che per il politically correct i ritardati vengono fatti passare per fenomeni e sono anche arroganti perché credono di essere dei fenomeni, unica cosa sensata che alla fine perdono come giusto che sia, Harrelsonn solito cohlione

(Finalmente:) "the underdog story".
"Il caso dei fratelli Farrelly è emblematico: passati dall'essere la coppia di registi più sboccata d'Hollywood a emblema [come registi solisti esordienti] d'un cinema adulto e rispettabile", "alfieri d'un neo mainstream controllatissimo" (Rocco Moccagatta), "che se da un lato si fa apprezzare per la piacevole professionalità, dall'altro lascia interdetti per la didascalica acquiescenza" (Roberto Manassero). "Trattando la disabilità con rispetto ma anche con paternalismo" (Alessio Baronci), "il più piccolo dei due fratelli non va a canestro" (Filiberto Molossi). Il processo di normalizzazione della loro comicità bizzarra, eccentrica, estrosa, spiazzante, fragorosa prosegue e, con Harrelson protagonista, il raffronto tra questo remake e "Kingpin" (1996) è impietoso. 5.8 su RT, 5/10 su Metacritic, sta piacendo al pubblico piagnone.