McLeod, ispettore intransigente, finisce sotto inchiesta per maltrattamenti ai danni del dottor Schneider, in carcere per procurati aborti. Si scopre che la stessa moglie di McLeod, a sua insaputa, era ricorsa ai servizi di Schneider. McLeod rompe con la moglie, ma inizia ad avere qualche dubbio sul proprio spietato rigore.
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Basato su uno spettacolo teatrale di Sidney Kingsley, ancora un'altra bellissima pagina di grande cinema per Wyler, che evita con intelligenza le secche del teatro filmato attraverso un uso della regia vibrante e febbrile, sempre accorta nel sottolineare le sfumature psicologiche dei tanti personaggi. Così il commissariato di polizia diventa un microcosmo di varia umanità e vari orrori sociali, colmo di ipocrisie, segreti laceranti e decisioni troppo grandi. Ogni certezza sembra svanire nell'abile sceneggiatura che tiene conto delle tre unità aristoteliche di tempo, luogo e azione: come diceva Manzoni, c'è sempre il rischio che fatti e passioni vengano esasperati (come un pò succede nel finale). Tuttavia come apologo della disumana intransigenza degli eventi resta ancora di grande effetto, anche per merito di un cast letteralmente straordinario. Impossibile dimenticare la furia di Douglas e gli occhi della Parker, così come la fragile cleptomane di Lee Grant, premiata a Cannes ma subito inserita nella lista nera di McCarthy. Da ritrovare.