rainbow eyes (2007)

Peccato, perché la sceneggiatura è niente male.
Il film è il classico "crime", con una squadra investigativa sulle tracce di un misterioso killer.
La Seoul metropolitan police agency sembra la parodia della Crime Scene investigation americana, e già questo non è proprio un punto a favore.
Se si aggiunge che il film è volutamente confuso e procede senza alcuna linearità aggraviamo la sua posizione.
A volte gli attori coreani si lasciano troppo andare nei loro scimmiottamenti, e qui mi sono sembrati fuori luogo anche perché non riescono a strappare mezzo sorriso; il risultato è qualcosa di troppo farsesco, esasperato, falso.
Yun-ho nonostante si dimostri tecnicamente valido (buone alcune sequenze d'azione accellerate) ha a mio avviso realizzato qualcosa di molto scadente e della stessa qualità di un prodotto da fiction, rovinando una sceneggiatura che in mano ad altri (cercando di dare magari un taglio più serio) avrebbe prodotto ben altro risultato.

I detective Kyung-yoon Cho e Eun-joo Park devono indagare su un efferato omicidio, dove l'unico indizio sembra un capello maschile lasciato sul luogo del delitto. Il caso sembra già chiuso, ma un nuovo omicidio sconvolgerà ogni certezza: il mistero si infittisce e i due scoprono che le vittime avevano vissuto insieme l'esperienza dell'esercito ed erano stati trasferiti altrove a pochi mesi dal congedo.

"Rainbow Eyes" è un thriller piuttosto convenzionale, che parte quasi come una puntata di "CSI" (Persino nello stile di regia, fotografia e montaggio) o "Criminal Minds", per poi sradicarsi in un intrigo che, pur essendo a tratti banalotto, riesce a dimostrarsi piacevole e avvincente. Tra il giallo e il poliziesco, "Rainbow Eyes" sembra non inventare assolutamente niente, ma riesce a rielaborare tutto ciò che è stato già detto in quello che è un riuscitissimo film per le masse: Nulla, assolutamente nulla che faccia gridare al capolavoro; ma le carte in regola per il buon film ci sono tutte.

Ne esce un film gradevole e, a tratti, persino sensuale, grazie alla sua capacità non comune di inquadrare alla perfezione i corpi e a renderli più tangibili. A questo contribuiscono sicuramente gli attori, ben calati nei rispettivi ruoli e la regia, sì, a volte irritante perchè troppo videoclippara e autocompiaciuta, ma in grado di dare tono e fisicità a molte scene. La fotografia saturatissima e autocompiaciuta, riesce a dare morbosità, ma anche eleganza alle inquadrature frenetiche.

Il film decolla dopo un po' di prevedibilità in una seconda parte, dove il regista cerca di colpire con colpi di scena invero un po' prevedibili, ma funzionali, per poi chiudersi con un finale bellissimo e veramente azzeccato. Nulla di speciale, ma resta un bel film, da vedere quando si cerca qualcosa di leggero ma non sciocco. Il film ruota, infatti, al tema delicato dell'omofobia, che tuttavia non viene mai sviluppato in profondità e resta un po' in superficie.