sono innocente regia di Fritz Lang USA 1937
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sono innocente (1937)

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locandina del film SONO INNOCENTE

Titolo Originale: YOU ONLY LIVE ONCE

RegiaFritz Lang

InterpretiHenry Fonda, Sylvia Sidney

Durata: h 1.25
NazionalitàUSA 1937
Generepoliziesco
Al cinema nel Dicembre 1937

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Trama del film Sono innocente

Incarcerato per un crimine che non ha commesso, Eddie Taylor evade e tenta di fuggire verso il Canada insieme con la moglie.

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Voto Visitatori:   7,77 / 10 (13 voti)7,77Grafico
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Voti e commenti su Sono innocente, 13 opinioni inserite

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kafka62  @  16/05/2018 10:32:20
   7½ / 10
Ciò che di "Sono innocente" colpisce di più, a distanza di ottanta anni dalla sua realizzazione, è il sistematico e consapevole processo di stilizzazione delle immagini in esso adottato. Memore dell'esperienza espressionista, Lang descrive gli ambienti più diversi (anche quelli naturali della seconda parte del film) avendo come precipua preoccupazione quella di mantenere sempre una sorta di essenzialità, di pulizia formale e di luminosità. La composizione plastica dell'inquadratura viene privilegiata e anteposta al suo sviluppo in senso naturalistico: basti pensare all'uso dell'illuminazione, che tende, in qualunque circostanza o momento del giorno ci si trovi, a garantire alla pellicola tonalità omogenee, all'insegna della massima nitidezza e leggibilità. E' in questo senso che si può parlare di teatralità del cinema langhiano, non tanto cioè nell'accezione di trompe-l'oeil o di posticcia artificialità, quanto in quella di valorizzazione, a partire già dal profilmico, di ogni singolo aspetto della messa in scena. Più come metteur en scene, infatti, che non come autore tout court, Lang crea con meticolosità effetti di autentica poesia visiva, vuoi rincorrendo echi dell'espressionismo (nell'immagine di Eddie dietro alle sbarre, l'ombra delle quali si staglia a raggiera sul pavimento, oppure nella scena in cui il profilo del prete avanza verso Eddie dopo essere emerso dalla fitta nebbia), vuoi disseminando la storia di simboli e segni premonitori (pur essendo appena tornato in libertà, Eddie continua ad abbracciare Joan tra le sbarre, quasi presagisse l'ineluttabilità della sua condizione; quando poi i due innamorati si trovano in riva allo stagno, la loro idilliaca immagine riflessa sull'acqua viene irrimediabilmente cancellata dal tuffo di una rana).
Pur condividendo in parte quello che del film scrisse Truffaut ("Una parola sola per qualificarlo: inesorabile. Ogni inquadratura, ogni movimento di macchina, ogni taglio, ogni spostamento degli attori, ogni gesto ha qualcosa di decisivo, di inimitabile"), "Sono innocente" non è un capolavoro (o almeno non lo è più, superato com'è dai tempi e dalle mode). La classica perfezione del découpage (che dimostra come Lang abbia assimilato molto rapidamente la vera essenza del cinema americano), il meccanismo ben calibrato della sceneggiatura (ricca di colpi di scena e soprattutto caratterizzata dalla sovrapposizione di eventi di segno opposto – l'improvviso licenziamento che si scontra con il bisogno di soldi per l'acquisto della casa, la concessione della grazia che arriva proprio quando Eddie è appena evaso dal carcere) e le rade ma gustose notazioni umoristiche (i giocatori di dama nel cortile del carcere, e soprattutto il fruttivendolo che si ostina a voler portare in tribunale il poliziotto che mangia a sbafo le sue mele) non cancellano infatti importanti e decisivi difetti, come l'interpretazione piagnucolosa della Sidney (poco credibile oltretutto come donna del bandito), la curvatura eccessivamente melodrammatica della storia d'amore tra i due protagonisti (anche se la scena della morte finale è figurativamente molto bella, degna dei migliori melò di Borzage), il ricorso ad ellissi inammissibili (la nascita del bambino avviene ad esempio passando con somma faciloneria sopra ai problemi facilmente immaginabili di un parto incerto e solitario). L'aver scelto infine di mettere alla berlina l'intera società, anziché, più genericamente, il destino o l'intolleranza umana, rende la denuncia di Lang un po' troppo manichea e populista: se da una parte, infatti, i personaggi dell'avvocato e del prete sono troppo puri, in quanto sanno sempre, istintivamente e contro tutte le apparenze, da che parte sta la giustizia, dall'altra i simboli delle istituzioni (il capo della polizia, il direttore del carcere e persino il secondino della cella) sono visti semplicisticamente come strumenti di persecuzioni ciechi e privi di emozioni, senza che con questo riesca al regista di porre in discussione, se non nelle forme soft di un innocuo liberalismo hollywoodiano, il sistema di cui essi sono espressione.

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