Allampanato, dall'espressione a metà tra il preoccupato e il malinconico,
Valerio Mastandrea, attore romano della generazione dei quarantenni (e quaranta sono i suoi anni giusto nel 2012), si contraddistingue sin dalla sua apparizione sul grande schermo nell'ormai lontano 1994 per interpretazioni di giovane sfigato, magari simpatico ma sempre poco fortunato.
Gli tocca in sorte filmica una famiglia sui generis e lui, che pure non è il massimo della stabilità, si deve fare in quattro per tenere in piedi la baracca e, poiché la fortuna arride agli audaci, ci riesce quasi sempre!
Se la fidanzata di turno lo ha mollato per un giovane belloccio magari di colore, perché comunque è una progressista, alla fine lui, grazie alla sua espressione mogia, si ritrova nuovamente insieme alla sua bella, quasi a sottolineare quello stellone italico che aiuta chi risica.
Gli anni passano in fretta e da giovane precario o studente o fidanzato incerto Mastandrea, dopo una parentesi in costume alle prese con Napoleone in esilio, è un uomo in crisi, magari docente che non ci crede più, con madre terminale o, ancora, separato con moglie crudelissima che non esita a buttarlo sul lastrico, o serio lavoratore che fatica a tirar su due figli in sostituzione di moglie persa nelle sue cogitazioni. E sempre tocca a lui rimediare ai guai che hanno combinato gli altri pure se lui non se la passa mai troppo bene. E non a caso in teatro è stato un perfetto Rugantino, giovane sbruffone, nullafacente che però si autoaccusa di un delitto mai commesso solo per amore... che romanticone!
Povero Valerio, eroe dei nostri giorni, simbolo di chi arranca ma pure va avanti e riesce a stento a ingranare. Se un giorno lo ritroveremo in un ruolo di uomo ricco, felice e perfetto forse sarà finita anche la sempiterna crisi che attanaglia il povero Stivale italico?
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