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Un affermato regista iraniano, Kiarostami, nel bel mezzo dell'Africa a filmare, in Uganda per la precisione...
La prima domanda che balza in testa: perché il regista iraniano, che ha infiniti spunti per
raccontare la sua terra, anche essa tanto lontana dall'occidente, tanto misteriosa, gira un
documentario in un atro continente, come l'Africa?
Per chi c'è stato, sa che questa terra ha qualcosa di magico e forse comprenderebbe meglio
l'eventuale risposta che il regista ci darebbe; per chi invece mai è stato in Africa questo film-documentario colpirà maggiormente al cuore e allo stomaco, troverà l'eventuale risposta che spero non farà risultare la visione finale come pietosa, anzi darà l'idea di forza, solidarietà, anche allegria al ritmo di musica.
La storia del film (ma è riduttivo chiamarlo film? E' anche un documentario? Un diario di
viaggio?) inizia inquadrando la ricezione di un fax. Un fatto vero, come tutto il film: infatti nel marzo 2000 Abbas Kiarostami ricevette un fax dal Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo, che chiedeva al regista se accettava di girare un documentario sugli orfani dell'Uganda.
Il regista accettò e il film narra il suo viaggio, insieme ad un compagno di troupe. Sembra
girato tutto in presa diretta, usando solo due telecamere digitali, niente luci (anzi, per diversi minuti una scena proprio non ne ha: tutto al buio in pieno stile "Blair Witch Project") senza l'uso di un apparente montaggio.
Credo che per un video-maker sia un opera interessantissima da visionare, aldilà del lato
umano che sprigionerà per qualsiasi spettatore. Questo per la sua voluta costruzione tecnica,
apparentemente assente, e per un risultato finale di un linguaggio filmico in piena libertà,
come la stessa Africa chiede. Kiarostami ha dichiarato dopo ABC Africa "Questo video mi ha
dato un senso bellissimo di libertà, non so se tornerò a girare in pellicola".
A volte vengono inquadrate pure le telecamere, delle semplici digitali con sensori 3CCD e
visore laterale, come si possono trovare anche in molti ipermercati oggigiorno.
Un ulteriore messaggio quindi: signori, state vedendo un film, una testimonianza, la cui
realizzazione è alla portata di tutti.
Il montaggio sembra assente, ma in verità c'è: il film è diviso in capitoli (il mercato, l'albergo, l'ospedale, ecc...); la sequenza dell'ospedale dei bambini malati di HIV, con la conclusione di una bicicletta con il suo triste carico sul portapacchi che se ne va, è sapientemente montata.
E' comunque uno sguardo dal vivo sui vivi. Un film per pensare. Un film che non deve portare
alla conclusione di impotenza verso tutto quello che si è visto. E farci capire che nel nostro piccolo possiamo fare qualcosa. In questo Kiarostami ci crede moltissimo, e i film ne è la testimonianza diretta. Non avrebbe altrimenti girato un solo secondo di tutto questo.
Non avrebbe un regista iraniano filmato una terra così lontana e diversa dalla sua.
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Recensione a cura di fromlucca - aggiornata al 02/03/2004
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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