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Alberto Nardi (Fabio De Luigi, "Happy family" e "Ex") è un giovane imprenditore milanese conosciuto nell'ambiente come "il marito dell'Almiraghi", ossia Susanna Almiraghi (Luciana Littizzetto, "Tutta colpa di Giuda" e "Manuale d'amore"), industriale del Nord nonché una delle donne più ricche e potenti del paese. Incapace di accettare qualsivoglia tipo di sconfitta personale, quindi anche il suo matrimonio, tenta di sopperire agli sbagli macroscopici del coniuge, che si rivela da anni un autentico fallimento sotto il profilo lavorativo. Vicino all'ennesima bancarotta, Alberto si trova costretto a chiedere un ulteriore sacrificio a Susanna, che stanca dei suoi insuccessi gli offre di rilevarne la società per poi coprire ogni debito. Ossia: lo aiuta, ma lo mette alla porta.
Proprio quando sembra giunta la sua fine come imprenditore, un imprevisto ne rovescia le sorti: un terribile temporale fa precipitare e schiantare l'aereo della moglie. In realtà lei su quel volo non è mai salita e ricomparirà, viva e vegeta, tre giorni dopo, proprio la sera del suo funerale. Alberto dapprima rimane sorpreso e spiazzato, la non dipartita di Susanna lo getta nel baratro in cui si trovava, ma nella sua mente si fa largo la soluzione di tutti i mali, suggerita dalla casualità degli eventi: uccidere la moglie con l'aiuto dell'amico Stucchi (Alessandro Besentini, "La terza stella") e del cugino Giancarlo (Francesco Brandi, "Tutta la vita davanti")...
Si avvisano i gentili lettori che in questa recensione non è presente alcun tipo di SPOILER, in virtù del fatto che non c'è proprio nulla da spoilerare, poiché nel film non succede nulla.
Due sono gli spunti forniti da questo "Aspirante vedovo" che subito balzano agli occhi, e su cui occorre riflettere.
Il primo è che il regista Massimo Venier ("Tre uomini e una gamba" e "Chiedimi se sono felice") ha tratto ispirazione (?) da "Il vedovo" di Dino Risi, film del 1959 con Alberto Sordi (!!!) e Franca Valeri (!!!). E qui forse sarebbe opportuno stendere un velo pietoso.
Ma anche no, perché quando le cavolate sono così evidenti anche le critiche vanno ben rimarcate.
Quello che ci si chiede è: come può un regista che fin qui ha diretto commedie leggerissime e senza pretese, da semplice mestierante, praticamente senza aggiungere nulla di suo, tentare di riproporre i soggetti di un film meraviglioso di un vero e proprio genio? Dino Risi, tanto per affondare la lama, ha firmato opere come "Il sorpasso", "In nome del popolo italiano", "Il mattatore", "I mostri", "Una vita difficile", e via dicendo... Massimo Venier ha in pratica diretto per il cinema quello che Aldo, Giovanni e Giacomo avevano messo in scena a teatro e in televisione, ha continuato su quella strada, ma cambiando i protagonisti (stavolta Ale e Franz), per "Mi fido di te", ha poi attinto da un soggetto di Fabio Volo per "Il giorno in più ", ed infine se ne ricorda "Generazione 1000 euro", tratto da un libro di Antonio Incorvaia e Alessandro Rimassa. Per il prossimo lavoro sarà bene suggerirgli di non buttarsi sulla rilettura di qualche film di Kubrick, ma piuttosto di continuare ad attingere da Zelig e Colorado, che gli sono più congeniali... Infine, ma si entra nell'ovvio, la pretesa assurda di affidare i ruoli principali che furono di due mostri sacri come Sordi e Valeri a Fabio De Luigi e Luciana Littizzetto. Punti di sospensione. Tanti punti di sospensione.
Il secondo spunto riguarda appunto la scelta degli attori. Il cast, sulla carta, pur non potendo minimamente reggere il confronto (ma almeno loro ne sono ben coscienti), è formato da gente che comunque sa far ridere. Bebo Storti (il conte Uguccione di "Mai dire gol"), Alessandro Besentini (del duo Ale & Franz), Ninni Bruschetta (Duccio della serie "Boris") e lo stesso Fabio De Luigi (innumerevoli personaggi per "Mai dire gol") hanno da sempre una grande verve comica. Eppure l'"Aspirante vedovo" non fa ridere mai, nemmeno per sbaglio. Non fa ridere il fatto che lei venga sempre chiamata "signorina" Almiraghi per sminuire il valore di Alberto, che a sua volta viene apostrofato col cognome della moglie: sembra un po' il gioco dei nomi sbagliati di "Fantozzi" che però, in un film che è in parte serio e in parte comico (a proposito: ma cosa vuole essere da grande in definitiva?) non funziona. Peggio vanno le cose con la macchietta del monsignore interpretato da Bebo Storti che risulta insulsa nelle scontate battute dissacratorie sulla religione. Un conto è il reverendo Lovejoy de "I Simpson" che fa ridere perché viene colto in fallo nei ragionamenti sul cattolicesimo, tutt'altro è sentire un prete che non considera vincolante il legame del matrimonio e prende alla leggera l'assoluzione dei peccati. Infine non rende De Luigi costretto a mimare le sue solite espressioni, recitare le sue solite battute, quelle che tutti sappiamo quando le dirà e come le dirà: in pratica non va bene la riproposizione del personaggio di "Love bugs".
Film inutile, scontato e di cui non si sentiva assolutamente il bisogno, che alla resa dei conti, come sopra già detto, non riesce ad essere ne un comico, ne un drammatico, ne niente di quello che fu il suo illustre "ispiratore".
Pietà.
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Recensione a cura di marcoscafu - aggiornata al 09/10/2013 15.59.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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