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Voto Recensore: | 9,00 / 10 | ||
Si trascina per i quartieri bui di Barcellona, il protagonista dell'ultimo film di Inarritu, con l'andamento titubante di chi deve sopravvivere, quasi fosse un fantasma che deve espiare le proprie colpe, che ha lasciato in sospeso troppe questioni nel mondo terreno. Volto scavato, spalle ricurve, passo veloce, sembra l'eroe di una tragedia greca. Lo attende un destino simile ad una tempesta di sabbia, che non ti abbandona mai, che segue il lento incedere della vita, che cambia direzione insieme a te.
Non è più la Barcellona da cartolina descritta da Woody Allen nel suo "Vicky Cristina", tanto meno quella di Gaudì e delle Ramblas; è la Barcellona di Santa Coloma, dei ghetti, dei muri ammuffiti dal fumo e dei marciapiedi sporchi di merda. Uxbal è il traghettatore di questo mondo, è l'ingranaggio del meccanismo del dolore, ormai indistruttibile, dove per vivere bisogna soffrire. Si muove tra gli immigrati, li protegge e allo stesso tempo li sfrutta in traffici tutt'altro che legali, lavora a contatto con i venditori ambulanti senegalesi; è il cranio dell'organizzazione malavitosa, ma quella di ben poco conto. Grazie a lui centinaia di euro passano periodicamente in mano alla polizia corrotta, una tangente che tutti vedono ma nessuno denuncia. Sotto la sua protezione c'è anche la manodopera cinese, quella stipata nelle cantine, che non ha nemmeno il tempo di respirare, con la pelle indurita dal freddo e lo stomaco indebolito dalla fame.
Uxbal è un sensitivo, può parlare con i morti prima che questi raggiungano l'aldilà, ma si fa pagare qualche spiccio dai familiari in lacrime in cambio di qualche rivelazione. Dall'età di nove anni è orfano di padre, ma è come se lo fosse stato tutta la vita perché non ne conserva il ricordo. Ha due figli, Ana e Mateo, che ama e che sono l'unico scopo della sua vita, la causa del suo inevitabile essere. Ha una moglie afflitta da bipolarismo depressivo che l'ha abbandonato per poi tradirlo con il fratello, lasciandolo solo con i suoi due pargoli.
Uxbal ha il cancro alla prostata e gli rimangono soltanto due mesi di vita: dovrà sistemare le cose per regalare ai propri figli uno spiraglio di luce in un mondo di tenebre.
"Biutiful" è la storia di una realtà dimenticata, di un padre e della sua disperazione, ma è anche una storia di speranza per un futuro che forse non potrà essere felice, ma semplicemente migliore.
L'affresco a tinte cupe che dipinge Inarritu è di triste bellezza: il fianco malato della società, le metastasi delle nostre metropoli. È la città indifferente alla sofferenza umana: quella degli immigrati clandestini, gli invisibili, deturpati della loro cultura, schiavizzati e senza possibilità di integrazione. Quella del barbaro sfruttamento di popolazioni con radici, lingua e pelle diverse dalla nostra, che raggiungono le nostre terre già consapevoli di dover sopravvivere in un mondo colmo di cinismo e disprezzo.
Un poliziotto corrotto racconterà ad Uxbal una storia: il guardiano di uno zoo per sei lunghi anni ha nutrito una tigre. Erano diventati amici, il guardiano poteva tranquillamente entrare nella gabbia senza che la tigre manifestasse segnali di violenza. Ma un giorno l'animale inspiegabilmente assalì l'uomo e gli spaccò la faccia in due, uccidendolo. La metafora del racconto è chiara: noi siamo il guardiano e gli immigrati la tigre. Far pronunciare queste parole bibliche ad uno dei personaggi più negativi del film è significativo. Il regista critica la visione contorta che noi europei abbiamo dell'immigrazione clandestina, per cui se non teniamo gli occhi aperti "queste bestie" potrebbero ribellarsi ed oscurarci per sempre. Mantenere alto il livello di paura ed odio per preservare la specie.
Il cinema, così come la politica e i media, spesso evita di raccontare queste storie, si nasconde dietro alle vanesie glorie di una cultura occidentale millenaria. Nessuno ha il coraggio di inquadrare gli angoli putridi delle nostre città, nessuno vuole raccontare storie che a noi possono sembrare soltanto un brutto film. Inarritu lo fa, senza vanagloria o presunzione, senza l'ostentazione della sua arte di cui è spesso stato tacciato dalla critica. Il suo linguaggio è schietto, il suo talento innato; il vortice che intrappola il protagonista del film è costellato di piccole storie, tutte diverse e doloranti, tutte complementari l'un l'altra in una visione d'insieme, per descriverci al meglio il disagio, per sensibilizzarci. Si disinteressa di stupirci e commuoverci con le tragiche vicende dei suoi personaggi, lascia che il nostro sguardo rimanga distaccato ed immune da facili sentimentalismi per farci riflettere sul vero valore della vita.
Inarritu fa tutto con eleganza, non mercifica il dolore ed in 150 minuti il quadro che ne esce è completo. Un quadro che fa da sfondo ad un protagonista magnifico nelle sue impercettibili debolezze, nascoste da uno sguardo severo. Un personaggio caratterizzato alla perfezione ed interpretato da uno Javier Bardem immenso.
Abbiamo detto che Uxbal ha un dono: riesce a dialogare con la morte. Negli ultimi mesi al cinema sono uscite diverse pellicole intente nell'affrontare il difficile discorso del nostro rapporto terreno con l'aldilà. Film come "Hereafter", "Kill me please" e "La donna che canta" hanno trattato l'argomento sotto diversi punti di vista. Ma è con "Biutiful" che la riflessione diventa più intima.
Uxbal si fa carico di tutti i mali, il dolore che lo circonda è forte e profondo, lacera la carne come mille rasoi. In confronto, il personaggio interpretato da Matt Damon nel recente film di Clint Eastwood sembra l'inconsapevole protagonista di un racconto per bambini. È un uomo spietato, non guarda in faccia alla morte, esorcizza la sofferenza per rendere dignitosa la vita dei suoi cari. Metaforicamente ruba le monete senza valore poggiate sulle palpebre dei defunti, quelle necessarie come compenso a Caronte per raggiungere il regno dell'Ade. Il clima di disperazione che lo circonda gli scivola addosso, l'amore per la sua famiglia gli impedisce di provare compassione per gli estranei. Qui si ripropone uno dei temi cari al regista: il tema dei valori familiari e lo sconforto e la depressione più profonda che derivano proprio dallo stravolgimento di questi affetti.
Al suo quarto film Inarritu abbandona la struttura ad intreccio e si dedica interamente ad un unico personaggio, senza però tralasciare le tematiche a lui care. Dopo le fatiche di "Babel" la necessità di una struttura narrativa lineare era inevitabile. Niente più salti temporali, nessuna scena ad incastro o sovrapposizioni. La collaborazione con lo sceneggiatore Arriaga (suo lo zampino nei tre film precedenti) è conclusa e lo stile del regista si fa ancora più intenso durante lo svolgersi incessante degli eventi.
Più in generale, dal punto di vista tecnico "Biutiful" è un film delizioso: la brillante cupezza della fotografia di Rodrigo Prieto e le musiche di Gustavo Santaolalla rendono il film un vero e proprio piacere per i sensi. Solo questi aspetti e la coralità palpabile di tutti i collaboratori valgono il prezzo del biglietto.
Inarritu ha scelto tutti gli attori dopo innumerevoli provini, alcuni con esperienze esclusivamente teatrali (come Maricel Alvarez che interpreta Marambra, la moglie di Uxbal), altri prelevati dalla strada (la donna che interpreta Ige ha vissuto sulla sua pelle un'esperienza simile a quella del suo personaggio). Ma colui che rende il film eccezionale è Javier Bardem, già premiato a Cannes e giustamente candidato all'Oscar, che dona anima e corpo ad un protagonista difficilissimo da interpretare: severo e buono, insensibile e amorevole. La distruzione del suo fisico la si vive in prima persona, la sua volontà nel mettere a posto le cose la si legge nei suoi occhi. Bardem diventa Uxbal.
Si tratta dunque di un film eccellente sotto tutti gli aspetti, nato dall'esigenza del regista di raccontare una storia lineare e da un'intuizione iniziale avvenuta in maniera assolutamente casuale. L'idea infatti nasce ad Inarritu durante un mattino d'autunno del 2006 quando ascoltò il "Concerto per piano in Sol maggiore" di Ravel insieme ai propri figli. La malinconia e la tristezza di quel pezzo coinvolse talmente tanto questi ultimi che iniziarono a piangere.
"In qualche modo, Biutiful è su un tema che mi ossessiona da tutta la vita e che ossessiona il mio lavoro: è un film sulla paternità - sulla paura di perdere un padre, di essere padre e su quel momento in cui cominci a diventare il tuo proprio padre e i tuoi figli cominciano a diventare te. E' sulla perdita - perché alla fine noi siamo anche quello che abbiamo perso."
Inarritu
La sua regia non è mai invasiva, è priva di virtuosismi, mai pedante o frenetica (tranne che nella magnifica scena della retata della polizia), al contrario, scandisce alla perfezione il tempo di un uomo che deve fare i conti con la morte.
Ad Uxbal, infatti, rimangono solo due mesi di vita. Sin dalle prime battute del film scopriamo insieme a lui che è malato di cancro. La linea intrapresa da Inarritu diventa così esplicita: vivremo un percorso di redenzione di un uomo così pieno di contraddizioni da non potere nemmeno morire in pace. Il suo senso paterno oscurerà tutto il resto, il valore della famiglia diventerà il filo conduttore tra la vita e la morte. Due facce della stessa medaglia.
Non vuole morire ma non vuole nemmeno "aggrapparsi alla vita come fa la gente sciocca". Deve costruire un futuro per i figli, ancora troppo piccoli per vivere in sua assenza. È terrorizzato dall'eventualità che possano dimenticarsi del loro padre, proprio come successe a lui. "L'universo non paga l'affitto" così Uxbal dovrà affidare il suo destino ad Ige, un'immigrata somala privata dell'aiuto del marito, rimpatriato dalla polizia spagnola. Per la prima volta riporrà il futuro dei suoi figli in una di quelle persone che ha sempre sfruttato proprio per dar loro da mangiare. La speranza enunciata dal film risiede in questo gesto, dettato dalla disperazione ma rafforzato dalla fiducia.
Ed ora l'ultimo desiderio di Uxbal prima di andarsene è quello di fare un sogno, ambientato sulla neve, magari fumando una sigaretta insieme al padre mai conosciuto, e vedere una civetta che prima di morire sputa una palla di pelo dal becco.
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Recensione a cura di Gianluca Pari aka VincentVega1 - aggiornata al 11/02/2011 15.24.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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