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"Alcuni uomini vedono le cose come sono e dicono «perché»? Io sogno le cose come non sono mai state e dico «perché no»?
La gioventù americana, come la nazione americana, conosce già un benessere che oltrepassa di gran lunga i sogni più audaci degli altri paesi. Ciò che le manca è di sapere a che cosa serve questo benessere.
Noi proclamiamo la nostra intenzione di garantire comunque l’autodeterminazione dei popoli, a costo di sacrificare la nostra stessa vita, se necessario.[…]
E non possiamo ipocritamente proclamare che «cerchiamo soltanto la libertà e la dignità umana in tutto il mondo», se in ogni angolo del mondo abbiamo dato il nostro appoggio, quando lo ritenevamo conveniente, a governi dittatoriali e corrotti.
Gli ideali democratici non possono essere esportati."
Robert Kennedy
"Hanno creato un deserto e lo chiamano pace."
Queste parole riferite al Vietnam, che nel film ascoltiamo dalla viva voce di Robert Kennedy, continuano ad essere di bruciante attualità; basta cambiare il termine di riferimento e sembra che quaranta anni non siano passati affatto.
Nella notte tra il 4 e il 5 giugno 1968 morivano l'American dream e l'uomo che, in quel momento, maggiormente lo incarnava.
Moriva "l'America della sparanza, quella che sa guardare al futuro, che vuole unire anzichè dividere, che lavora per tutti, per il povero e per il ricco, per il bianco e per il nero".
Quell'uomo era Robert "Bobby" Kennedy e quella era l'America che sognava, e che Emilio Estevez ci racconta in questo film, un'America che, molto probabilmante oggi sarebbe diversa, sicuramente migliore, se quella notte del giugno del 1968, Robert Kennedy non fosse stato assassinato.
Era un'America che il volto rassicurante di Robert Kennedy sembrava promettere e che dopo non c'è stata più, era un'America in cui si poteva parlare di solidarietà e di giustizia, di propositi riformisti e libertari, di diritti civili e di promesse per il futuro, di speranze e di sogni collettivi.
L'assassinio del fratello di John Fitzgerald Kennedy chiuse un'epoca che non si è mai aperta, cancellò quel linguaggio che parlava al cuore e riportò la politica nelle stanze del potere, lontana dalle istanze della gente e dai suoi bisogni.
È stata la fine di un sogno e delle speranze di tante persone che in quell'uomo riponevano il proprio futuro.
Il film di Emilio Estevez parla di tutto questo e di ciò che poteva essere e che non è stato.
Si vede da che parte batte il cuore di Emilio Estevez, si nota la sua formazione liberal ed il suo spirito fortemente democratico; si nota, e non lo nasconde, che prova rimpianto per Bob e per quello che, con lui, sarebbe potuto essere.
Per fortuna però Estevez non si mette a fare lo storico e non scivola nella retorica dell'orgoglio patriottico ma cerca, attraverso una galleria dettagliata delle psicologie dei singoli personaggi che animano il suo lavoro, di scandagliare ed analizzare le ansie e le aspettative deluse di una nazione e del suo popolo, ma anche di quella parte del mondo che guardava a lui, e in lui aveva riposto la speranza di vedere il nostro pianeta finalmente pacificato.
"Bobby" ricostruisce l'ultima notte del candidato democratico alla Casa Bianca attraverso le storie della gente che si trovava nell'albergo la notte in cui si chiuse un'epoca che non si e mai aperta, in cui tramontarono definitivamente le illusioni di un mondo migliore, la notte che segnò l'inizio dell'epoca che stiamo vivendo.
Era stata una lunga giornata quel 4 giugno del 1968 per Robert Kennedy: reduce dalla vittoria alle primarie di California che lo aveva consacrato sicuro candidato democratico alle prossime elezioni presidenziali, era arrivato all'Hotel Ambassador, sul Wilshire Boulevard di Los Angeles, scelto come sede del suo quartiere generale, per pronunciare il rituale discorso di ringraziamento.
Sarà, il suo, un discorso lungo e coraggioso: dirà che non c'è una sola America, ma tante Americhe, con tanti problemi e tante incertezze, parlerà di diritti civili violati e di ingiustizie sociali, di pregiudizi e di intolleranza razziale, di violenza e di pace, e dell'ansia di venir fuori dall'inferno del Vietnam; un inferno di cui non si capiva bene il motivo, ma che aveva, assurdamente, stroncato tante giovani vite.
Bobby vuole un Paese con più valori e meno egoismi, un paese diverso, sicuramente migliore.
Era un Paese, quello che Bobby auspicava, che aveva intuito che qualcosa stava cambiando, ma che non riusciva a coglierne l'essenzialità: c'erano il '68 e le canzoni di Bob Dylan e Joan Baez, a Parigi "bruciava l'Università" mentre a Praga "sbocciava la primavera", ci si preparava ad andare sulla luna e si faceva di tutto per non andare in Vietnam, e intanto a Woodstock fervevano i preparativi per quei mitici "tre giorni di pace, amore e musica".
Poi nella notte tra il 4 e il 5 giugno gli spari che hanno spezzato un sogno.
L'America finirà nelle mani di Nixon (e poi di Reagan e di Bush), a Saigon (e poi a Kabul ed a Bagdad) si continuerà, assurdamente, a morire; il Watergate dimostreà la fragilità della democrazia, mentre le guerre preventive scateneranno il terrorismo e le paure collettive legittimeranno le "extraordinary rendition", le detenzioni illegali che rappresentano l'essenzialità delle violazioni dei diritti umani.
Eppure "Bobby" non è un film biografico, non è un film che ricostruisce la vita e la storia di Robert Kennedy, non parla delle sue idee politiche e neppure dei suoi propositi riformisti e liberali; bensì vuole essere un tributo allo spirito di un uomo straordinario e vuol far rivivere l'essenza di quel momento storico emblematico, ricostruendo la sua ultima notte, vista attraverso il microcosmo di quelle ventidue persone (alcuni ospiti, altri dipendenti) che quella notte si aggiravano per le stanze e i corridoi dell'albergo della tragedia.
Assistiamo così al tipico scorrere di una giornata di gente qualsiasi (che poi erano i destinatari delle parole di Bob), con i loro problemi e le loro speranze, le loro paure e i loro bisogni.
Ci sono i dipendenti sudamericani con problemi di integrazione e sfruttati dal responsabile, che preferirebbero guardare la partita di baseball dei Dodgers, c'è la giovane cameriera appena arrivata dall'Ohio che sogna di andare a Hollywood, il portiere in pensione dell'Ambassador che non riesce a staccarsi dal suo posto di lavoro e gioca a scacchi con un collega pensionato di colore, il direttore dell'albergo che ha una relazione con la giovane centralinista e sua moglie parrucchiera nello stesso albergo che poroprio quella sera scopre il tradimento del marito; e poi una coppia sposata da tempo che cerca, con una seconda luna di miele, di rinvigorire il loro stanco rapporto, e, ancora, una giovane ragazza che sposa un compagno di scuola per evitargli il Vietnam, e poi ci sono la cantante alcolizzata, che presenterà il senatore, e il suo frustrato marito, i collaboratori del senatore e i due volontari per la campagna elettorale che incontrano uno spacciatore e provano l'effetto delle droghe.
Tutte persone attraverso le quali Estevez ricostruisce, e ci fa rivivere, l'atmosfera di quel momento storico, tanto che, quasi, pare di toccare con mano quell'anelito di speranza che ci verrà negata.
Storie comuni di gente comune, ma rappresentante di quell'America che guardava al di là dei suoi confini e sperava in quel cambiamento epocale capace di sanare le ferite del mondo, che l'idealismo di Kennedy lasciava intravedere.
Un idealismo che si immaginava avrebbe potuto lasciarsi alle spalle la retorica dei proclami, per entrare in un'era di effettiva parità tra bianchi e neri, in un'era in cui il ricco non fosse sempre più ricco e il povero sempre più povero, in cui le guerre non fossero più l'unico mezzo per esportare la democrazia, in cui l'ambiente fosse difeso e rispettato, e possibilmente lasciato in condizioni migliori alle generazioni che sarebbero venute dopo.
Ma la visione politica di Bob, la visione di un altro mondo possibile non ebbe modo di essere verificata perchè poco dopo la mezzanotte, mentre il senatore e il suo seguito stavano attraversando le cucine dell'albergo, una specie di scorciatoia per raggiungere i giornalisti che li stavano aspettando, alcuni colpi di pistola, esplosi da un improbabile attentatore, stroncarono la vita di un uomo e le reali speranze di quanti avevano creduto in lui.
Anthony Hopkins, Demi Moore, Elijah Wood, Sharon Stone, William H. Macy, lo stesso Emilio Estevez, il padre Martin Sheen, Christian Slater, Helen Hunt, Harry Belafonte, Lindsay Lohan, Heather Graam, Ashton Kutcher, Laurence Fisburne, Freddy Rodriguez: un cast di tutto rispetto, con alcune performance veramente superlative ed una direzione impeccabile, fanno di questo film un'opera esteticamente interessantissima ed emotivamente coinvolgente.
Tutte quelle storie, tutte quelle speranze, quella morte in diretta, quelle lacrime che ci vengono impietosamente mostrate da immagini di repertorio sono lì a ricordarcelo, ed il lungo discorso finale che chiude il film, ci ricorda che quegli spari hanno inferto un colpo mortale all'idealismo americano, idealismo che molti stanno ancora aspettando che rinasca.
Si esce con la sensazione che, anche a noi che stiamo dall'altra parte dell'oceano, sia stato rubato qualcosa che ci avrebbe fatto migliori e, soprattutto, più innocenti.
"Il mio pensiero è piuttosto chiaro e sono convinto che alla fine potremo lavorare insieme. E, nonostante quello che succede negli Stati Uniti da tre anni a questa parte, e mi riferisco alle divisioni, alle violenze e al disincanto per la nostra società in generale, che si tratti di bianchi contro neri, di poveri contro ricchi, di divisioni di persone di diverse fasce di età, o, ancora, della guerra in Vietnam, sono convinto che possiamo lavorare tutti insieme. Siamo un grande paese, un paese altruista e compassionevole. Ed io intendo fare di quanto ho detto le basi della mia candidatura."
Dall'ultimo discorso di Robert Kennedy.
Sarebbe bello poter sentire dire sempre queste cose.
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Recensione a cura di Mimmot - aggiornata al 27/06/2008
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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