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Al confine di un piccolo villaggio colombiano Chocò (Karen Hinestroza, "El Vuelco del Cangrejo" e "El Faro") vive col marito Everlides (Esteban Copete) e i due figli: Candelaria (Daniela Mosquera) e Jeffre (Sebastiàn Mosquera). La vita non è semplice in quella parte della foresta pluviale e mentre lei cerca di portare a casa i soldi necessari all'istruzione dei ragazzi lavorando duramente in una miniera dove viene estratto oro, l'uomo sembra più interessato al gioco in cui sperpera quel poco che guadagna suonando la marimba.
Oltre a perdere alle carte, Everlides si ubriaca, torna tardi, è violento e pretende di ricevere quell'amore che non merita. Come se non bastasse, Chocò viene licenziata, ma rimboccandosi le maniche riesce a trovare subito un altro datore di lavoro. Solo l'amore per i suoi figli le rende sopportabile tutto questo. Fino al giorno in cui, rendendosi conto di non poter più vivere in quella capanna, decide di compiere un atto estremo, per salvare sia se stessa che Candelaria e Jeffre.
Il dipartimento in cui la storia si svolge si chiama come la protagonista: Chocò, ed è uno dei 32 di cui si compone la Colombia, il suo capoluogo è Quibdò e include altri 30 comuni. Proprio lì è nato Jhonny Hendrix Hinestroza, regista, sceneggiatore e produttore di questo che è il suo primo lungometraggio, dopo aver diretto due corti: "Cuando Ilegan los muchachos" nel 2010 e "Tricolor fùtbol club" nel 2005.
Uscito nel 2012 e presentato al Festival di Berlino sezione Panorama, il film si concentra su una storia in particolare, quella di Chocò, per mostrare la realtà, più generale, di quei luoghi. Si passa da temi come la discriminazione razziale nei confronti degli afro-colombiani (sembra incredibile, eppure anche in America latina esistono queste divisioni), fino al lavoro sottopagato nelle miniere dove viene estratto oro, in cui gli speculatori non risparmiano l'uso del mercurio, altamente inquinante, che sembra tornare come un boomerang con effetti visibili a livello morfologico sugli abitanti sfruttati da anni.
Chiamandosi Hendrix, non fa certo meraviglia la gran quantità di canzoni usate durante gli 80 minuti (battuta pessima, ma in qualche modo dovuta). La prima scena è introdotta da un canto funebre, poi le donne che vanno a lavoro ripetendo strofe proprie della cultura del luogo, infine l'unica nota (ultima, promesso) intonata nel rapporto tra Everlides e Jeffre, quando gli insegna i rudimenti per suonare il suo strumento.
Ciò che maggiormente deve far riflettere sono ovviamente le diversità con gran parte del resto del mondo. In questo il regista trova un espediente molto preciso e puntuale: il regalo chiesto ripetutamente da Candelaria per il suo compleanno. La bimba, con l'insistenza tipica dei suoi anni, "vuole" una torta. Ma che sia grande. Non un iphone, o una festa con le amiche, non un buono da consumare in un negozio di scarpe. Chiede semplicemente quello che è, universalmente, il simbolo dei festeggiamenti. Nemmeno le candeline su cui soffiare. A lei basta la torta. Ma il proprietario del negozio, un bianco, non fa sconti a nessuno e in cambio della sua merce chiede a Chocò la sua dote più preziosa. Schifata dalla richiesta, ma provata dall'ennesima, grave perdita al gioco del marito, lì dove non arriva la donna arriva invece la madre, pronta ad ogni sacrificio per accontentare la piccola Candelaria.
Il seguito contiene elementi di spoiler.
Quella notte sarà anche l'ultima nella capanna insieme a Everlides. Chocò aveva sognato la scena tempo addietro: una candela cade e il fuoco si propaga. Purificatore, liberatorio, permette a lei e ai due bambini di scappare, lasciando avvolta dalle fiamme la causa di molti dolori. Estremamente forte il modo in cui la protagonista costringe sul pavimento quel pessimo marito e padre, ma certo illustra tutta la forza di una donna che, non avendo tribunali o associazioni umanitarie a cui rivolgersi, deve combattere con i denti (e qui servono molti puntini di sospensione che saranno chiari solo dopo la visione del film) per la libertà sua e dei figli.
Non un film facile, seppur breve, ma nemmeno totalmente documentaristico. Difficilmente lo si vede più di una volta. Sicuramente molto toccante e con la grande capacità, tramite l'uso delle quinte, di portare lo spettatore fin nel cuore di Chocò (qui inteso come nome del dipartimento). E forse proprio per quello non si ha molta voglia di entrarci nuovamente.
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Recensione a cura di marcoscafu - aggiornata al 24/03/2014 17.26.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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