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Primo dei dieci mediometraggi diretti da Kieslowski e scritti dallo stesso e da Piesiewicz sui dieci comandamenti biblici.
Il Decalogo è stato una delle ultime grandi rivelazioni mondiali di un regista che all'epoca (1989) non era conosciuto al di fuori della Polonia, dove si era dedicato principalmente a documentari "scomodi" per poi abbandonarli a fine anni '70 e passare al cinema vero e proprio. Cinema che lo stesso Kieslowski non ha mai dichiarato di amare, anzi il suo rapporto di quasi odio con la macchina da presa è testimoniato anche in pellicole come "Il Cineamatore" o nella decisione, dopo la "Trilogia dei Colori" di abbandonare il mondo del cinema.
Fatto sta che questi dieci piccoli film, girati per la tv polacca, rappresentano un tassello fondamentale della storia del cinema del secolo scorso: accolto come una rivelazione proprio qui in Italia dove a Venezia si aggiudicò il premio FRIPESCI, il Decalogo mantiene tutte le promesse del suo autore di non voler fare semplici moralismi o peggio ancora "una collezione di sentenze o precetti"; le trame sulla carta appaiono da subito accattivanti e si snodano in 55 minuti con uno stile intimista, poco incline al virtuosismo e che coglie appieno tutte le sfumature psicologiche dei personaggi ivi ritratti. Un cinema d'autore che non da giudizi, non vuole esprimere condanne esplicite (tranne nel solo caso del quinto film) ma al contrario pone interrogativi e domande la cui risposta dobbiamo cercare dentro di noi, analizzandoci a fondo.
1. IO SONO IL SIGNORE DIO TUO, NON AVRAI ALTRO DIO ALL'INFUORI DI ME
Da subito si pongono le basi di una tragedia annunciata: una musica straziante, le lacrime di dolore di una donna, un bambino che ride nel fantasma di un teleschermo, un uomo che seduto nella neve al calore di un fuoco sembra piangere o forse no, magari è solo l'impressione... Ci si ritrova commossi senza un vero perché la prima volta, si hanno dei brividi lungo la schiena. A rivedere successivamente questo primo capitolo del Decalogo lo spettatore si rende conto invece di commuoversi ancora di più durante il devastante incipit, una volta saputo tutto di ciò che sta per succedere.
Il rapporto con Dio, la fede e la scienza è al centro della prima storia. Pawel è il figlio di un professore universitario, Krzysztof, un razionalista che ha come unico Dio il suo computer e la scienza, da lui vista come il futuro e il progresso. La scienza non può sbagliare, risponde a tutte le tue domande, è infallibile. Si trova costretto a crescere suo figlio da solo con l'aiuto della sorella Irena, una cattolica. Pawel è in quell'età in cui si è curiosi di dare una risposta a tutte le domande che ci circondano, quindi le su domande sono di quelle per cui è impossibile dare una risposta sicura: esiste un'anima? Cosa è la morte? Senza opprimere il bambino né da una parte né dall'altra, padre e zia rispondono secondo le proprie inclinazioni naturali, il primo negandone l'esistenza e l'altra facendola corrispondere all'amore di Dio. Però in fondo Pawel continuerà a fidarsi del padre e del computer, ad esempio quando la zia gli dirà che il computer non è in grado di dirgli cosa la madre sta sognando il bambino risponde che è un problema che riguarda la potenza del computer.
Kieslowski illustra con grande delicatezza il rapporto padre-figlio: i due condividono insieme la curiosità per la matematica e la logica (giocano a scacchi insieme e il padre vince grazie ai consigli del figlio), si fidano l'uno dell'altro. Ma ancora di più Krzysztof si fida della sua fede cieca nella scienza; è il computer sempre pronto a rispondere a problemi (I Am Ready) che farà convincere il padre della sicurezza che ha il figlio di pattinare sul ghiaccio: i calcoli metereologici sono posti con l'esattezza matematica, lo è anche la risposta empirica. Il padre avverte il figlio che non c'è pericolo.
Giunti a questo punto già lo spettatore sa che tutto questo è un preludio alla tragedia. Lo si è capito dall'inizio, vero, ma anche dai vari segnali inequivocabili che come degli avvertimenti Kieslowski dissemina qua e là. Il più evidente rimane quello della boccetta d'inchiostro rotta di Krzysztof, che si rovescia sul foglio bianco improvvisamente allargandosi come una macchia nera. La metafora è tanto esplicita da non poter essere ignorata, è un turbamento della tranquillità, solo Krzysztof fa finta di non capire quello che significa, ma comincia a turbarsi. Come farà finta di non capire quando sentirà le sirene dell'ambulanza, quando gli amici di Pawel lo vanno a cercare invano a casa sua, quando vedrà una madre in lacrime precipitarsi giù per le scale dell'appartamento, o quando andando dalla maestra di Pawel questa le dirà che non ha fatto lezione, li ha mandati via perché influenzata. Anche quando sentirà che il ghiaccio si è rotto la sua speranza, pur vacillando, continua a mantenersi salda. Ma quando il corpo del figlio viene estratto finalmente Krzysztof si arrende, distrutto. E mentre attorno a lui le persone raccolte a guardare quel buco nero nel ghiaccio si inginocchiano in segno di rispetto o di preghiera per il morto, lui rimane in piedi, incredulo.
Tornando a casa il computer è ancora acceso: "I Am Ready", è pronto a rispondere ad un'altra domanda, beffardo, crudele. Ma la rabbia del padre non si scaglia contro la scienza bensì contro un altarino raffigurante una Madonna, che nel silenzio (di Dio, per citare Bergman) scaglierà a terra con violenza. Proprio mentre il dipinto, per uno strano caso (?) sembra piangere per il gocciolio della cera delle candele.
"È la cera delle candele che si fonde, quell'uomo rovescia l'altare provvisorio, cadono le candele che ornano il quadro e la cera liquefatta ci gocciola sopra. Che ci posso fare io se va a gocciolare proprio in quel punto?" (Kieslowski)
Difficile interpretare dopo varie visioni tutte le questione aperte che pone Kieslowski: il pianto dell'immagine sacra pare ora beffardo, ora pietistico. Però si notano anche altre questioni senza risposta: ad un certo punto il computer si accende da solo, e alla domanda del padre a Pawel se l'abbia acceso lui, il bambino risponde di no. Un piccolo segnale che con ogni probabilità rafforza inconsciamente la fiducia già cieca di Krzysztof verso la scienza. Ma c'è anche il destino ineluttabile: lo spettatore si rende conto che qualcosa non va dai già citati segnali disseminati da Kieslowski, il protagonista no, se non quando è troppo tardi. Il Caso poi fa sì che la maestra sia malata proprio in quel determinato momento, laddove magari se fosse stata bene certo la tragedia non sarebbe avvenuta...
È un cinema profondamente umano e al contempo metafisico, impregnato degli elementi naturali (acqua, inchiostro, ghiaccio) e del dolore degli uomini. Ed è una domanda abissale sulla vera Fede di ognuno di noi, a partire dal protagonista: se la sua rabbia si scaglia infine contro il Dio cristiano invece che contro il computer, ciò significa che in fondo Krzysztof non ha mai creduto completamente nella scienza se non quando gli faceva comodo. Ora ritiene di potersi scagliare contro qualcosa in cui diceva di non credere, perché è sempre meglio pensare che un Dio sia crudele invece che fallibile. Altrimenti non sarebbe Dio. Ma è anche una manifestazione di fede, rabbiosa, indubbiamente contro, ma lo è.
"Ribellandoci arriviamo a riconoscere che quel qualcuno che ci sembrava non esserci esiste. La ribellione è una manifestazione della fede che si nega. Se ci ribelliamo significa che abbiamo oltrepassato una certa soglia. Indubbiamente lui si ribella anche contro Dio." (Kieslowski)
Quanto allo stile, il pathos crescente dell'ultima parte è qualcosa di terribilmente angosciante, che trova il suo climax nella sequenza del ritrovamento del cadavere, non mostrato da vicino ma dalla prospettiva lontana del padre. I picchi acuti che raggiunge la drammaticità del film sono sottolineati dal dilaniante commento musicale di Preisner e diventa impossibile non commuoversi se non già all'inizio, almeno in quel finale che ci mostra il fantasma catodico di Pawel, impresso nelle immagini scolorite di un televisore.
Infine il Testimone Silenzioso, costante di quasi tutti gli episodi del Decalogo: il suo è un ruolo centrale, è visto dal padre e dal figlio più volte vicino un fuoco, non parla, non fa nulla apparentemente. La sera in cui Pawel è andato a pattinare e la tragedia è già avvenuta, Krzysztof nota il fuoco ancora acceso dove era solito sedersi, ma lui non c'è. Ma se c'era prima, allora avrebbe potuto intervenire e salvare il bambino dalle grinfie gelide dell'acqua, oppure sfortuna ha voluto che si sia allontanato proprio nel momento cruciale. Ancora una volta la domanda pende come una condanna: Dio crudele, indifferente, o Caso? Qualcosa c'è, ma è inafferrabile.
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Recensione a cura di elio91 - aggiornata al 22/12/2011 16.59.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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