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E' arrivata nelle sale per prima. Intendo dopo il mega scandalo finanziario, per meglio dire crack, che ha coinvolto la Enron, una potente azienda statunitense finita in bancarotta. L'ultimo film di Dean Parisot (anche regista per la serie televisiva ER), è un remake della commedia "Non rubare.. se non è strettamente necessario" di Ted Kotcheff del 1977, che vedeva protagonista la coppia George Segal e Jane Fonda. Come tale, l'opera assume i canoni di una vera e propria commedia made in USA.
Ciò che emerge infatti da questo film è la visione contemporanea di un problema più comune agli anni settanta, che rende meno sgradevole la cinica visione dei manager nella nostra società occidentale. "Dick and Jane - Operazione furto" mescola la comicità corporea di un contenuto Jim Carrey (sempre magistrale e qui anche in veste di produttore esecutivo), alla bravura senza sbavature della sua sparring partner Tea Leoni. Un duetto dove il farsesco a cui improvvisamente sopraggiunge il dramma è espressione costante del cinema leggero americano, il quale denota come esista la possibilità che improvvisamente centinaia di persone, abituate ad una vita agiata, si ritrovino a... rubare per sfamarsi, o come si lascia chiaramente intendere qui, per ritrovare il tenore di vita a cui hanno mirato e sgobbato per anni.
Più che la bravura dei due protagonisti, lo spettatore si diverte in compagnia della loro estrosa simpatia, mentre la regia di Parisot è per lunghi tratti semplice e quasi impalpabile. Certo fa tristezza pensare a come Alec Baldwin si sia ridotto, ossia a ruoli più che marginali nella Hollywood minore, manco fosse lui vittima e responsabile del fallimento della Globodyne, come invece accade al suo personaggio McCallister.
Dick e Jane rappresentano il sogno americano infranto e, assumendo l'aspetto di persone comuni, diventano il simbolo di una precarietà che circola nello status sociale a stelle e strisce, con i loro goffi modi di fare, con le loro insicurezze, le loro nevrosi, i loro schietti timori.
Nel film la morale è talmente patinata che al termine dei novanta minuti di proiezione, si ha la sensazione di aver visto una commediola piacevole e spensierata, ma avida di contenuti e significati forti, sempre in bilico tra lo slapstick e la commedia brillante sui generis. Dalla parte dei pro sono numerosi gli spunti comici che deliziano chi entrato in sala solamente per (sor)ridere e che coprono i vistosi buchi di sceneggiatura, i quali durante il film sono poco compensati dai toni allegri della vicenda, al punto che le sequenze migliori risultano quelle bruciate dal trailer (di cui sconsiglio sempre la fuorviante visione). Inoltre, e questo è un difetto comune nel cinema "non impegnato", il finale risulta alquanto sbrigativo, quasi che avessero tolto l'inchiostro da sotto il naso agli sceneggiatori (Judd Apatow e Nicholas Stoller).
Nonostante ciò, la battuta di chiusura ("...ho trovato un nuovo lavoro, mi pagano in titoli al portatore argentini"), terribile nella sua veridicità, lascia presagire quanto sia consistente il fondo di realismo che sottintende tutta la pellicola, perché ci mostra come sia semplice rovinarsi la vita e come altrettanto sia complicato prenderla per il verso giusto e sorriderci sopra.
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Recensione a cura di Simone Bracci - aggiornata al 30/01/2006
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