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Castelli di cartone, marionette, ombre... il Dracula di Coppola è una fiaba gotica, un po' paurosa come spesso sono le fiabe. Dichiarando fin dall'inizio una fedeltà al racconto (infatti il titolo è Bram Stoker's Dracula), Coppola ci conduce però non là dove il racconto ha inizio, ma dove ha origine la stessa fantasia dello scrittore, nel XV secolo, presso Vlad III, Vlad l'impalatore, Principe di Valacchia, che la storia - quella vera - vuole tiranno sanguinario che amava banchettare tra i corpi torturati dei nemici. Ed è all'origine di questa storia che accade il fatto che darà un senso alla ri-lettura del personaggio Dracula, se ci si pensa l'unica possibile alle soglie del 2000.
Si perchè, per quanto indubbiamente 'fedele', la trasposizione del romanzo è falsata da questo antefatto che ci mostra fin dall'inizio Vlad-Dracula che si danna non per sete di potere ma per amore. E' per amore della sua Elisabetta che Dracula sfida un Dio ingrato e si costringe ad una condizione di non-morte, ad una vita di tenebra, alla necessità della morte altrui per la propria vita.
Coppola, insieme allo sceneggiatore Jim Hart, ci porge la chiave per trasformare il principe delle tenebre in principe azzurro, nel malinconico dandy che passeggia nelle vie di una Londra vittoriana incontrando la sua Mina, l'amore, per la quale attraversa gli oceani del tempo e trasforma le lacrime in diamanti.
Coppola alimenta le nostre suggestioni e ci ammalia come Dracula fa con Mina, portandoci anche qui non alla storia ma alla preistoria, quella del cinema, con i giochi di ombre e i caleidoscopi. Un autentico omaggio al cinema come visione e anche come stupore, attraverso i sontuosi costumi di Eiko Ishioka (premio Oscar) e la fluida immaginazione della fotografia di Michael Ballhaus.
Il richiamo al cinema è continuo, a partire dalle ovvie citazioni di Murnau, ma anche di Nightmare e Peter Pan, fino al richiamo più esplicito, la centrale scena del cinematografo, che "ovviamente" diviene il luogo della seduzione e dove si dichiara, attraverso lo sguardo in macchina, l'operazione di vampirismo del cinema verso chi lo ama.
E' sempre l'amore che torna, è l'amore che giustifica ogni azione, anche la più efferata. L'amore romantico, esagerato, surreale, dannato, l'amore che porta Mina ad uccidere l'amato con la promessa di un amore celestiale, riscattandolo con la propria vita terrena dalla tenebra.
"Senza saperlo gli amanti non han mai desiderato, loro malgrado, che la morte" (de Rougemont)
Gotico (il racconto), romantico (inteso nel senso più letterario) e barocco (la ricerca dell'inconsueto, lo stupore generato dalle immagini) si amalgamano creando un film di grande impatto.
Il personaggio di Dracula-Oldman si affianca nel nostro immaginario al Nonsferatu-Kinsky di Herzog, altro favoloso principe delle tenebre, nel quale prevale la dimensione malinconica a sfavore di quella malefica della iconografia cinematografica.
Oldman è bravissimo, sia giovane che incalcolabilmente vecchio quando, estrosamente vestito e acconciato, accoglie Harker sulla soglia di 'sua casa' e si muove indipendentemente dalla sua male intenzionata ombra.
Figura secondaria ma non come interpretazione è quella di Van Helsing, scienziato olandese, l'antagonista, che Coppola lascia un po' in disparte a favore della lettura romantica, ma che Hopkins interpreta con grande bravura e ironia.
Perla di Tom Waits.
La vera forza di questo film è nella sua potenza visiva, nella capacità coppoliana di narrare, ancora, un racconto che ha sfidato il tempo, che è stato maltrattato e abusato, in un modo sorprendentemente nuovo, nella sua veste più fedele.
Una fiaba, un po' paurosa come spesso sono le fiabe.
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Recensione a cura di Kater - aggiornata al 17/03/2005
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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