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I "Diari della motocicletta" narra del viaggio, attraverso l'America Latina, fatto nel 1952 da due giovani ragazzi argentini su una vecchia moto, alla scoperta di ideali e avventure prima sognati solo leggendo libri di Salgari e autori simili.
Non tragga in inganno per vedere questo film, che uno dei due protagonisti è il futuro Che Guevara, fautore della prossima rivoluzione Cubana al fianco di Fidel Castro. Dell'adulto combattente, di Cuba, e di Fidel, non c'è traccia nel film: c'è invece traccia di un giovane pieno di entusiasmo, sognatore di ideali, prima spensierato poi confuso con l'impatto dei problemi che affliggono l'America Latina. Un affresco su questo vasto continente quindi, più che sul personaggio Che. Un film per tutti, indipendentemente dagli orientamenti politici, che purtroppo limitano spesso l'approfondimento della figura di questo giovane argentino, oggi forse più famoso ai giovani perché bell'ornamento sulle magliette, e disprezzato dalla controparte senza sapere che prima di un fucile ha avuto in mano la borsa di medico, girando per i lebbrosari, curando gente, con la sua fragilità dovuta all'asma.
Il regista de "I Diari della motocicletta" è il brasiliano Walter Selles, che ho apprezzato per un altro film incentrato sul viaggio, evidentemente un tema caro, simbolo di cambiamento e percorso di vita: "Central do Brasil".
Questo precedente film è secondo me di livello superiore, con alcune scene di grande cinema (su tutti, l'ingresso nei vagoni alla stazione di Rio, il pianto della protagonista velato da dietro un vetro). Ma anche questo "i Diari" può vantare uno stile sicuramente originale con due ore certo non poco interessanti per questo viaggio che cambiò Ernesto Guevara.
Lo stile registico qui è più "sporco" di "Central", la fotografia ha delle luci con toni "seppia", per esprimere appunto il tempo passato, l'ingiallimento che possono avere tutte le pagine dei vecchi diari.
Il concetto è azzeccato, ancor più sottolineato quando compaiono sullo schermo delle vere istantanee in bianco e nero, con facce e persone, scene di vita rude, direttamente dalla povertà dell'America Latina.
I dialoghi giustamente quasi mai filmati con stile hollywoodiano, con il classico campo e controcampo, o il mantenimento della telecamera nel campo dei 180°: sarebbe stato certo un controsenso, in una pellicola dove i due ragazzi, El Fuser (questo il soprannome del Che da giovane) e Alberto Granado, cominciano ad accorgersi dei mali del proprio continente, dovuti alle multinazionali estere, ed al fatto che l'America Latina è in verità il "terreno di caccia" prediletto degli Stati Uniti. Sensato non approcciare questo film con un linguaggio cinematografico classico, anche nel modo di disporre le luci (i volti spesso sono in penombra).
Tra le scene degne di note, quella dei due giovani a Matchu Pitchu con il loro non capire perché le antiche civiltà sono state sterminate per far spazio a... e il montaggio porta noi spettatori ad un paragone visivo immediato, di una Lima moderna, e decisamente "perdente" rispetto ai luoghi degli scavi. Interessante la parte finale al lebbrosario, e la triste conclusione: in America Latina (il Brasile è secondo al mondo per casi dopo l'India), la lebbra non è certo stata sconfitta, così nemmeno sono del passato le facce dei poveri che schizzano fuori dalla memoria in bianco e nero del giovane Che. Sono state fatte delle rivoluzioni, cambiati i presidenti, ma queste immagini, e questo affresco tracciato in "I Diari della Motocicletta" è ancora attuale. Film interessante (in concorso a Cannes 2004) e veritiero della figura giovanile del futuro rivoluzionario: chi avesse letto libri come "Senza perdere la tenerezza - Vita e morte di Ernesto Che Guevara" potrà confermare.
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Recensione a cura di fromlucca - aggiornata al 01/06/2004
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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