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I curdi sono un antichissimo popolo medio orientale che vive nelle regioni montuose del Tauro, in un territorio grande il doppio dell'Italia che da loro prende il nome di Kurdistan.
Si calcola che i Curdi siano fra i 20 e i 30 milioni e che quindi costituiscano uno dei più grandi gruppi etnici e linguistici privi di un proprio stato nazionale.
Per oltre un secolo il nazionalismo curdo (che tardò a manifestarsi a causa del nomadismo ancestrale) ha cercato di ottenere la creazione di un Kurdistan indipendente, o perlomeno autonomo, ma le loro istanze nazionalistiche sono state puntualmente disattese dagli organismi internazionali, a causa degli interessi di alcuni governi occidentali nel Golfo Persico, e ostacolate dagli Stati che li ospitano, ritenendo che la nascita di un tale stato li costringerebbe a cedere parte dei propri territori.
In Iraq i curdi si sono stanziati in quella parte del paese, conosciuta come il Kurdistan iracheno, ma comunità curde esistono in varie altre città, come Kirkuk e la stessa capitale Bagdad.
Successivamente alla Guerra del Golfo, In Iraq si sono verificate repressioni massicce nei confronti dei curdi iracheni, da parte del regime di Saddam Hussein, che hanno assunto la portata di un vero e proprio nuovo olocausto.
Il dramma del popolo curdo - insieme al ruolo sottovalutato della donna nelle società medio orientale - viene raccontato dal regista curdo iraniano, Fariborz Kamkari - che vive ed opera in Italia - nel film "I fiori di Kirkuk", presentato con successo alla Festa del Cinema di Roma 2010.
La cronistoria di quei sanguinosi avvenimenti si intrecciano nel film con la storia d'amore che unisce la protagonista Najla al suo connazionale Sherko, conosciuto nelle aule della Facoltà di Medicina dell'Università di Roma.
Ma quella che in altre parti sarebbe una semplice storia d'amore, in Iraq acquista il sapore di un amore impossibile, per la violenta contrapposizione di etnie che all'epoca travagliava il paese medio orientale.
Najla, infatti è figlia di una ricca famiglia araba di Bagdad, molto vicina all'ideologia del partito del presidente Saddam Hussein, mentre Sherko è curdo, iracheno di etnia curda.
Siamo in Iraq negli anni '80, il regime di Saddam Hussein è impegnato nella campagna repressiva verso i curdi, contro i quali il regime ha intrapreso una sistematica e cruenta decimazione di massa.
Colpita dalle tragiche notizie che giungono dal suo paese, Najla decide di tornare in Iraq nella speranza di rintracciare Sherko, il giovane collega di cui è innamorata.
Sherko, infatti, dopo aver conseguito la laurea in medicina era rientrato in patria, ufficialmente per motivi familiari, promettendo a Najla che avrebbe fatto ritorno a Roma al più preso.
Tornata a casa, Najla ben presto scopre il vero motivo per cui Sherko non è più tornato in Italia. Contemporaneamente si trova a fronteggiare l'autorità dello zio (suo tutore) e i pregiudizi misogini e razzisti del cugino, fiero cultore dei principi della cultura araba che vuole la donna sottomessa all'uomo e relegata in un ruolo secondario, nonché convinto sostenitore del regime del Rais.
Appena arrivata a Kirkuk, Najla, sfidando i dettami della sua famiglia, va a cerare Sherko e scopre una realtà inimmaginabile: i curdi vivono praticamente assediati nelle loro case per difendersi dalle incursioni delle milizie di Saddam, mentre dalle città vicine giungono notizie di uccisioni e di massacri con l'uso di armi chimiche.
Sherko nel frattempo è entrato a far parte di una organizzazione clandestina, con il compito di aiutare il suo popolo a sfuggire ai rastrellamenti effettuati dall'esercito iracheno ed ora è ricercato dalla polizia.
Per questo motivo non era più tornato in Italia e per questo motivo ora cerca di allontanare da sé Najla, anche se non ha mai cessato d'amarla.
Najla però, forte del sentimento che prova per Sherko, decide di abbracciare la causa curda, disonorando così la famiglia e deludendo l'insistente corteggiamento del tenente Moktar, un giovane ufficiale iracheno conosciuto durante una festa in casa dello zio, che si è innamorato di lei e che lo zio vorrebbe farle sposare.
Costretta a lavorare per il Governo, Najla si arruola nella guardia medica dell'esercito di Saddam, ma continuerà a vedere Sherko e a collaborare con la resistenza curda.
Assisterà così, impotente, alle atroci persecuzioni perpetrate nei loro confronti.
Scelta che la porterà e seguire tutte le tappe di un tragico destino.
Vent'anni dopo, nel corso dei festeggiamenti popolari per la caduta del regime del rais, il ritorno in patria di Sherko è segnato dalla mancanza di una tomba su cui poggiare un fiore:
Il fiore di Kirkuk.
Come ha spiegato il regista curdo Fariborz Kamkari, che vive ed opera in Italia (ecco il motivo per cui la protagonista della storia è così legata al nostro paese), il film nasce dalla volontà di raccontare al mondo uno dei più drammatici momenti vissuti dal suo popolo, lungamente ignorato dall'occidente per motivi economici e politici, in cui il petrolio aveva (ha) un ruolo di primaria importanza; e l'inserimento di una grande storia d'amore al suo interno ha lo scopo di rendere la testimonianza più immediata e fruibile.
Kirkuk, dove il film è ambientato, è stata la città più devastata del Kurdistan iracheno, ripetutamente bombardata nel corso di tutti gli anni '80. La realizzazione del film, pur tra mille difficoltà, è stata resa possibile grazie alla relativa situazione di maggior libertà di cui oggi gode l'Iraq.
Con "I fiori di Kirkuk" Fariborz Kamkari realizza un melodramma bellico, mettendo al centro della storia una donna che sfugge allo stereotipo della donna araba succube e sottomessa. Infatti Najla è forte, coraggiosa, determinata e testarda; una donna occidentalizzata che rifiuta la legge prevista dalla società araba per le donne, che rifiuta il ruolo di subalternità all'uomo e rivendica il diritto dell'autodeterminazione e dell'affermazione di sé. Rivendica inoltre il diritto di poter scegliere il proprio destino.
Con questo il regista sceglie di intrecciare la storia delle atrocità perpetrate ai danni del popolo curdo con le vicende private di una giovane donna che cerca tenacemente di cambiare il mondo e renderlo migliore.
La rappresentazione filmica risente di una certa schematicità narrativa e di una evidente mancanza di rigore nella sceneggiatura, che ne fanno un film forse un po' troppo ingenuo per il nostro più smaliziato gusto occidentale; e mette in evidenza una qualche dose di immaturità registica, laddove riesce a mischiare principi propri della cultura occidentale (il diritto delle donne all'autodeterminazione) con altri più tipicamente mediorientali (un eccesso di drammaticità nei rapporti amorosi).
Nonostante ciò Kamkari riesce perfettamente nel suo intento di mettere in scena un melodramma romantico che coniuga tratto sentimentale e accuratezza documentaristica, il sacrificio femminile e la rivalità amorosa, il senso della libertà e la ricerca della conoscenza.
La pellicola ha un ritmo serrato che - per l'argomento narrato, che fonde insieme il dramma di una coppia con la sofferenza di un intero popolo - cattura l'attenzione dello spettatore e riveste una particolare rilevanza come testimonianza storica delle tragedie che dilaniano il nostro pianeta.
Buone le interpretazioni del composito cast, che vede riuniti una abbastanza affermata artista marocchina, la bella e brava Marjana Alaoui, con un attore tunisino, Mohammed Zaoui, che veste i panni di Moktar. Accanto a loro l'avvenente curdo di Turchia, Ertem Eser (Sherko) che in passato è stato modello per Calvin Klein e che si rivela anche un ottimo interprete.
Il film si apre e si chiude con le immagini di repertorio della folla festante che saluta la caduta del Rais e abbatte le sue statue.
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Recensione a cura di Mimmot - aggiornata al 28/03/2012 15.25.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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