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Primo film di Ferzan Ozpetek, regista turco trapiantato in Italia ormai da anni, “Il bagno turco - Hamam” è anzitutto la contrapposizione tra due culture e due modi di vita diametralmente opposti: da una parte l’Italia con i suoi ritmi di nazione occidentale, dall’altra parte la Turchia, rappresentata da Istambul, con il suo disordine, la sua lentezza, il suo clima e la sua sensualità.
Ozpetek, con questo suo ritorno alle origini, fa suo un modo di pensare che ha portato molti scrittori stranieri, l’inglese E. M.Forster su tutti, a vedere nel viaggio, tra le terre del sud in particolare, un risveglio dei sensi e delle sensazioni, un ritorno ad una vita semplice priva di quelle sovrastrutture alle quali il mondo occidentale ci costringe e soprattutto si basa sulla convinzione che il miglioramento si deve al cambiamento (nella fattispecie al cambiamento di contesto socio-culturale).
Questo è quanto accade a Francesco, il protagonista della storia (un Alessandro Gassman, sicuramente bravo, ma non sufficientemente magnetico ed espressivo). Prigioniero nelle maglie della sua società, giovane imprenditore rampante con tutte le nevrosi proprie del suo lavoro, trascina con sua moglie Marta (Francesca D’Aloja) un rapporto stanco e sfatto e accoglie con malcelato fastidio il viaggio che lo costringe in una terra lontana per adempiere alle pratiche ereditarie di una zia, ma è proprio qui che avviene il suo cambiamento, la liberazione dai suoi personali preconcetti che lo porteranno ad accettare anche un modo di amare sicuramente meno convenzionale.
Il regista contrappone alle due culture anche due “scuole” diverse di recitazione, così se gli attori italiani sono tutti molto misurati, quasi a dimostrare il loro retaggio culturale ormai invischiato in una società che pretende sempre qualcosa svuotando l’individuo da ogni barlume di vera umanità, gli attori turchi recitano più di stomaco, per dimostrare la loro carnalità e passionalità, i loro sentimenti.
Spiccano in particolare le figure del mediatore immobiliare, grasso e sudaticcio, dall’italiano imperfetto, grottesco personaggio, comico e tragico insieme, diretto discendente dei flat characters shakespeariani, la madre di famiglia, affettuosa, diretta, ma anche abile a gestire i rapporti sociali, (memorabili le conversazioni dal balcone con le vicine che fanno tanto Napoli anni Cinquanta) la figlia, taciturna, dai grandi occhi presi d’amore per l’ospite forestiero e il giovane Mehmet virile ed efebico nello stesso tempo.
Nel soffermarsi nel carteggio irrisolto tra la madre di Francesco e sua sorella scappata in Turchia, forse Ozpetek abbonda in estetismi e in autocompiacimenti per la propria terra, ma i suoi eccessi comunque non determinano uno svilimento della storia anzi ne aumentano senz’altro il suo fascino.
Esaltata dalla splendida colonna sonora arabeggiante degli Agricantus, sicuramente un’altra perla incastonata nella storia, la vicenda scorre verso un finale aperto ma che ancor di più sancisce la vittoria dell’incantesimo orientale sul cupo mondo dell’ovest.
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Recensione a cura di peucezia - aggiornata al 14/03/2006
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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