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Diventa estremamente difficile porsi di fronte ad un film tratto da un romanzo che ha dissotterrato dal polverone storico profonde ideologie ataviche, qual è stato il caso de Il Codice da Vinci.
Prima del lancio internazionale, prima della sua maestosa campagna di marketing, prima della sua proiezione alla Croisette, prima delle azioni rurali chiamate banalmente "crociate" anti Codice da parte della stampa, prima di tutto questo c'è un complesso adattamento cinematografico.
Di fronte all'opera di Dan Brown si sono posti il regista (già premio Oscar) Ron Howard e lo sceneggiatore Akiva Goldsman che ne hanno tirato fuori un lungometraggio di due ore e mezza. Attenendosi prettamente al lato filmico, per chi dunque ha letto il libro (e per chi lo ha apprezzato per quello che è), si nota immediatamente come l'eccessiva pressione mediatica e l'ingiustificata campagna screditatoria da parte della Chiesa (tornata impaurita ad affrontare i demoni del modernismo) abbiano raggiunto lo scopo. Ossia, quello di limitare una divulgata libertà d'espressione, mettendo il guinzaglio alla trasmutazione espressiva e simbolica dell'intera opera. Per non incedere troppo nel provocatorio, dunque, gli autori hanno deliberatamente frenato una legittima forma d'arte, dando un colpo al cerchio e uno alla botte.
Partiamo dalle interpretazioni dei personaggi coinvolti, in un cast che ha fatto dell'internazionalità la sua arma a doppio taglio. Su tutti, come ormai spesso accade nei ruoli da antagonista, la palma del migliore spetta al monaco-killer Silas, un Paul Bettany che forse è l'unico che da credito al proprio personaggio, seguito a ruota dal sempre eccellente Sir Ian McKellen. Il resto sono marionette che si muovono al servizio ludico dello spettatore, da un Tom Hanks che si aggira spaesato e poco convinto nei panni dell'impavido Robert Langdon, passando per i superflui Reno (Bezu Fache) e Molina (Aringarosa), fino ad arrivare ad Audrey Tatou, spettrale presenza della crittologa francese Sophie Neveu. Discutibile anche la scelta del doppiaggio "a metà", che ha previsto di lasciare in lingua originale molte delle battute presenti nel film, compreso l'italofrancese interpretato da Anne-Marie Sanchez.
Un professore americano di Harvard, Robert Langdon, è chiamato a collaborare con la polizia francese, a Parigi, per risolvere un caso, che, partendo dai quadri di Leonardo al Louvre sino alla Rosslyn Chapel in Scozia, potrebbe svelare un incredibile mistero protetto da un setta segreta, che, se rivelato, sconvolgerebbe i fondamenti della religione cristiana. Il film procede a spezzoni lungo il proprio snodo narrativo e rispetto al romanzo si avverte paradossalmente una perdita d'incisività della storia al cospetto dello spettacolo, specialmente se riferito alle scene d'azione, introdotte in quantità industriale, le quali sono anche le meno riuscite della pellicola, rispetto ai momenti delle "rivelazioni" (sottolineati da poca enfasi musicale) stilisticamente più validi e coinvolgenti.
Essendo un thriller ben scritto, non si capisce come la prima parte possa risultare addirittura più fiacca che non il convulso finale, in cui, se non si è letto il libro, difficilmente si arriverà a cogliere tutte quelle sfumature di carattere storico-dogmatico, che la frivolezza della versione cinematografica ha contribuito a limare nelle sue sequenze esplicative. La storia, dunque, che è il vero motore dell'opera, è stata radiografata troppe volte perché il prodotto finale possa essere un convincente estratto del long-seller internazionale. Sono proprio questi gli elementi che mancano a tale adattamento cinematografico, una versione in celluloide molto fedele al racconto di Brown ma priva di passione e di ritmo, dove la mano di Howard non fa altro che smarrire lo spettatore nelle trame senza pathos di una verità attesa e non ben rivelata (il Santo Graal, fondamento dell'intero Cristianesimo). Il risultato, perciò, è una maestoso complesso filmico che non funziona del tutto e che, non sfuttando appieno le incredibili risorse economiche, nonché l'accesso notturno al meraviglioso museo del Louvre, genera un giallo solido e artificiale nella forma, ma dotato di impatto emotivo nemmeno paragonabile alla versione letteraria de Il Codice da Vinci, il quale ha venduto oltre 40 milioni di copie nel mondo, appassionando migliaia di persone.
Un'occasione sprecata, peccato.
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Recensione a cura di Simone Bracci - aggiornata al 24/05/2006
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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