Voto Visitatori: | 7,17 / 10 (77 voti) | Grafico | |
No, mi spiace caro Ovidio, ma la "flava puella" non esiste, forse non è neppure mai esistita. Lo capisce senza neanche particolare rammarico Nello (Neri Marcorè), un romano professorino di greco e latino che si trasferisce nella Bologna anni '20 (città immancabile, considerando il regista) alla sua ricerca. Certo che, a ben guardare il nostro protagonista, prototipo del "timido" per eccellenza, si accontenterebbe di una brava moglie, cosa importa se ricca o povera, bella o brutta, vedente o non vedente. Ma sfortuna vuole che un giorno incontri piuttosto una Lesbia catulliana e, prendendola per la sua "Musa malata" per dirla alla Baudelaire, si accontenti dell'amaro retrogusto di un amore che sa di ultima spiaggia per lei e di dono celeste per il quale ringraziare sempre e comunque per lui. E, infatti, nella loro storia d'amore è forse solo lui ad imparare qualcosa, se non altro ad amare anche con il corpo una donna. La nostra bellissima non vedente invece inizialmente sembra potersi redimere ed in qualche modo elevare grazie all'impacciato professore, ma con il procedere del film diviene evidente che la ragazza, frutto di una bellezza deviante e di una società bene più cieca di lei, è persa. Infatti, ed in realtà ce lo aspettavamo tutti, diviene l'ennesima protagonista della storia di sempre, dove la bella, dopo una parentesi fugace di possibile autenticità, lascia il fidanzato brutto e non abbastanza ricco, per un più distinto (eufemismo scambiato per sinonimo di benestante) medico svizzero, il cui unico merito e di averle salvato la vista, trascurando - ovviamente - l'anima.
Certo è che, comunque, tutte le donne di questo film buona figura non fanno, tutte sempre così prive di personalità propria.
Uno degli esempi più eclatanti è rappresentato dalla madre di Nello, che concede al marito un benevolo quanto rassegnato consenso alle sue continue scappatelle sessuali. L'apoteosi del degrado, poi, si raggiunge nella prima cieca che il nostro Marcorè incontra, che, oltre ad essere brutta e sprovvista di alcun fascino è pure sputacchiante.
L'unica che potrebbe in qualche modo salvarsi è l'amante di Nino D'Angelo; infatti, superando la sua eccessiva libertà di costumi, sembra la più autentica: incantata e sedotta dalle frasi latine, insegue le infatuazioni e il sesso senza falsi pudore, rimanendo sempre più o meno consapevole che "al fondo del bicchiere del piacere c'è il vuoto" (Hegel).
Neri Marcorè, grazie anche al suo fisico e alla sua espressione disincantata, incarna perfettamente lo stereotipo che va ad impersonare, senza tradire troppo le aspettative di Avati e del pubblico. Giannini è sempre all'altezza e piacevole da guardare, anche se certo non dà il meglio di sé.
Peccato davvero per D'Angelo che avrebbe potuto dare sicuramente di più e per la Milo (dalla quale comunque non ci si aspettava molto) che troppo spesso si riducono a semplici ed inutili macchiette.
Per quanto riguarda l'Incontrada, - ben doppiata, anche se in questo modo rischia di perdere naturalezza - non è certo da scartare, considerando anche la difficoltà del personaggio. Tutto ciò però non toglie che con questo film le era stata data la possibilità di regalare al cinema italiano (che tanto ne avrebbe davvero bisogno) una figura indimenticabile. Infatti, alla "bella, ricca e maledetta", quasi dark lady con occhiali scuri e sigaretta fra le labbra, avrebbe potuto crearle intorno un atmosfera particolare, densa e luminescente.
Ad esempio, il personaggio avrebbe dovuto richiedere ed emanare molta più sensualità se non addirittura un po' di pura cattiveria.
Avati quindi confeziona con tinte pastello un film certamente delicato. Ma, come la storia che vuole raccontarci, che poteva essere potenzialmente stupenda e travolgente per i suoi due protagonisti, il film lascia latenti punti di forza e sfumature che non sarebbero dovuti essere trascurati.
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Recensione a cura di disamistade - aggiornata al 23/10/2008
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