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Casey Bell ha delle strane visioni in cui un bambino che non conosce le appare di continuo. Un giorno, in seguito ad un accertamento agli occhi scopre di esser stata concepita insieme ad un gemello, che però non ha superato la gravidanza.
Frugando tra le vecchie carte di sua madre, morta suicida anni addietro, trova una foto che ritrae una donna a lei sconosciuta. Decide così di indagare sul legame tra la sconosciuta e sua madre, sperando che questo possa esser connesso agli incubi che la affliggono.
Spesso gli sceneggiatori americani, probabilmente per mancanza di materia prima, si dilettano nel pasticciare con mitologie di culture diverse dalla loro, culture che hanno millenni di storia antecedente alla cacciata degli indiani, veri indigeni degli attuali Stati Uniti.
Accantonati momentaneamente i remake asiatici, con relativo stupro culturale, in questo caso ci si è dedicati ai miti ebraici, con un semplicismo e una mancanza di originalità avvilenti.
Immaginate di mettere in un frullatore i seguenti elementi: una famiglia ebrea sfuggita ai campi di sterminio per finire tristemente in una sceneggiatura accroccata, il mito ebraico del Dybbuk, un libro antico con suggestive illustrazioni scritto in ebraico, il solito bambino fantasma brutto come pochi, la spider walk, ormai nota solo a chi ha visto "L'Esorcista" in versione integrale, una maledizione e il finale più prevedibile della storia degli horror. Tutto condito con scricchiolii, specchi rotti e protagonista con gli occhioni spalancati dalla paura per quello che può uscire dall'armadietto del bagno di casa.
La frittata in questione non solo risulta indigesta, ma addirittura irritante, e non soltanto per lo stomaco di chi prova a digerirla. La povera Casey Bell passa l'intera durata - per fortuna esigua - del film a sbirciare nell'armadietto del bagno e incontrare qua e là un irritante pargoletto, il quale somiglia in maniera inquietante ai bambini morti di un qualche ultimo film spagnolo.
Il suo fidanzato e la sua migliore amica non la fanno internare ma la guardano con sospetto, la seguono da vicino abbastanza da tirarla su dal pavimento ad ogni apparizione. Inoltre una vecchia signora che pare conoscesse la mamma morta suicida di Casey, e che incredibilmente adesso abita un ospedale (psichiatrico? viene da chiedersi) la butta fuori in malo modo, quando lei va a farneticare di gemelli, apparizioni, e di una vecchia foto dei tempi della guerra. Ma poi la stessa signora una notte, perché queste cose la gente le ricorda di notte, invita Casey a farle visita e le racconta una storia sui cattivi medici nazisti dei campi che facevano esperimenti sui gemelli.
Il tutto verrà poi messo nelle mani di un rabbino, Gary Oldman nella sua più recente interpretazione alimentare, che tenterà un esorcismo multietnico perché i demoni sono precedenti a qualsiasi definizione religiosa di appartenenza, e il rituale è comune in molti punti.
Ne avete abbastanza? Perché altrimenti si può dire anche che l'esorcismo in questione appare ricco di comicità involontaria, fuori tempo massimo e in alcuni passaggi del tutto indistinguibile dai mille altri che lo hanno preceduto sullo schermo e, come quelli, neanche lontanamente vicino all'eventuale realtà di un simile procedimento.
La regia si limita tentare di istillare inquietudine, privilegiando le false percezioni e i toni scuri, ma finisce col generare ilarità, almeno alla centesima apparizione del maledetto ragazzino immortale o al millesimo controllo da parte di Casey dell'armadietto che, non si capisce come mai, dovrebbe esser fonte di ansia, a meno di non contenere farmaci di cui lei pare avere un gran bisogno.
Tutto qua. Il consiglio è ovviamente di tenersi alla larga da questo insulso polpettone e ripescare la versione integrale de "L'Esorcista", nel caso si avesse voglia di vedere un esorcismo che a distanza di anni mette ancora paura.
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Recensione a cura di Anna Maria Pelella - aggiornata al 27/02/2009
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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