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Los Angeles, 1937, Hotel Ambassador, un uomo paga una prostituta, scrive una lettera confidando ad un amico di aver scoperto uno sconcertante segreto, scende poi nella hall, lascia la lettera al barista chiedendo di consegnarla esclusivamente ad un uomo che verrà a cercarlo, un certo Douglas Hall (Craig Bierko), rincasa e si addormenta.
Il suo cervello è proiettato nel suo corpo reale, nella Los Angeles dei giorni nostri.
L'uomo è il Dr. Fuller (Armin Mueller-Stahl), un grande scienziato, capace con la sua équipe di creare un mondo virtuale. Ogni computer della stanza che si vede al suo risveglio rappresenta una vita simulata all'interno di un mondo altrettanto simulato.
La situazione precipita quando Fuller viene assassinato e i sospetti cadono sul socio Douglas Hall; ma in realtà le domande da fare sono altre: "chi è" ma soprattutto "quando" è morto Fuller?
Nei continui cambi di realtà dei protagonisti si inserisce un nuovo personaggio che dichiara di essere la figlia di Fuller, Jane (Gretchen Mol), affascinante ed ambigua.
La trama del film porta lo spettatore a seguire i personaggi da un "mondo" all'altro: passato, presente e futuro, creando il tipico senso di disorientamento che si può trovare nelle opere letterarie di Philip K. Dick.
Per non rovinare il finale ci fermiamo qui con la trama. Il film non sembrerebbe molto originale ma se consideriamo alcune premesse come il fatto che è uscito alcuni mesi prima di Matrix ed è tratto da un romanzo di Daniel Galouye "Simulacron 3" del 1976, vediamo che il film ha una struttura originale; peccato vengano copiati molti topos di "Blade Runner", come la sequenza del bacio al replicante, riproposta con lo stesso dramma filosofico: "Lo sai che non posso baciarti, perché non sono un essere umano, sono una creatura artificiale".
Il film nel complesso resta buono: girato da Rusnak, noto in Germania per i suoi lavori televisivi, presenta una trama molto fitta, a tratti complicata, portando alla conclusione che anche la realtà in cui si vive altro non è che uno dei tanti mondi paralleli possibili, e che conseguentemente la realtà non è poi così "reale" come sembrerebbe.
La fotografia è bella, mentre la scenografia è interessante e ben curata, specie nella Los Angeles del 1937, mentre la Los Angeles del 1999 non convince a pieno, così come gli effetti speciali che risultano troppo artificiosi.
Gli attori sono tutti credibili e costretti a gettarsi in sfide notevoli, dovendo recitare due personaggi e in alcuni casi anche tre, nel mondo reale e in quello simulato.
Il film si apre con la famosa massima di Cartesio, "Cogito ergo sum" (Io penso, dunque sono) che rappresenta il messaggio, a tratti angoscioso, che vuole trasmettere il film.
Infatti se si possono considerarsi "persone viventi" coloro che si muovono e vivono nella cosiddetta realtà, lo sono anche coloro vivono nella simulazione, grazie ai processori e ai suoi calcoli, poiché il pensiero non è qualcosa di tangibile che può essere toccato con mano, ma non è altro che il prodotto di stimoli neuro-elettrici.
Si arriva dunque a vedere come anche i personaggi virtuali siano animati da sentimenti, da passioni, da ambizioni e dalla curiosità insita nell'uomo, fino a permettere, addirittura, il passaggio di un soggetto da un mondo ad un altro.
Da qui il discorso si allarga, e ci si può domandare non senza qualche dubbio etico, se l'anima che ogni individuo crede di possedere è qualcosa di reale, oppure risiede solamente nella nostra mente, ed è dunque riproducibile con dei microchip, in un anonimo piano di un palazzo.
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Recensione a cura di Weezer - aggiornata al 16/03/2006
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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