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Remake della celeberrima versione di un romanzo del celebre scrittore inglese Somerset Maugham interpretata nel lontano 1934 dalla grande Greta Garbo, "Il velo dipinto" può essere definito come un fotoromanzo esotico in costume, pur avendo comunque degli innegabili punti a suo favore.
La storia è vista seguendo il punto di vista della protagonista Kitty, elegantemente ed altrettanto freddamente interpretata da Naomi Watts, tanto da render quasi giustificabile agli occhi dello spettatore qualsiasi sua azione.
Kitty è una giovane donna non più nel fiore degli anni terrorizzata dall'idea di rimanere nubile, con tutte le conseguenze negative della situazione, considerato che all'epoca (siamo negli anni Venti) per una donna di buona famiglia il lavoro era cosa alquanto disdicevole. A questo punto arriva il lui della situazione, medico, innamorato, di sani principi. La coppia scoppia subito: lei tradisce, lui la punisce obbligandola a seguirlo in un villaggio cinese contagiato dal colera e qui qualcosa cambia...
I dialoghi sono lenti, decisamente fedeli al testo scritto. Il doppiaggio rende lo stile british con garbo ed eleganza. Non manca una velata ironia che cela il disprezzo e la distanza che si viene a creare quasi subito tra i personaggi principali della storia, coppia male assortita nata dalla necessità del matrimonio e formata dall'algida Naomi Watts e dal rigido Edward Norton, da sempre innamorato delle storie di Maugham. L'ambientazione esotica fa solo da sfondo, in quanto la storia si concentra principalmente sui protagonisti e sulla loro evoluzione psicologica mentre gli altri, i cinesi, sono visti solo di sfuggita quantunque traspaia una sottile allusione al peccato coloniale dell'uomo bianco così come sono visibili i problemi ancor oggi presenti tra mondo occidentale e continente asiatico.
C'è una certa dualità tra la Kitty di Maugham e quella del regista John Curran: la prima è inserita nel contesto della sua epoca, giovane donna da "sistemare", timorosa di non trovare l'uomo da impalmare, che la riscatti dal suo inevitabile destino di "zitella" chiusa nel suo egoismo; la seconda invece tenta di affrancarsi scegliendo come strada l'adulterio come rimedio per tutti i mali.
La seconda parte del film, quella inserita nel contesto della cittadina dell'entroterra cinese assediata dall'incubo della malattia, è un cammino di espiazione e riconciliazione: si assiste lentamente alla crescita spirituale dei personaggi, seguita con un passaggio dai grandi silenzi e dalla impassibilità dei due interpreti ad una graduale sensualità espressa dalla mimica e dagli sguardi degli attori. Il colera assume la doppia veste di elemento catartico e salvifico perché fautore della riconciliazione e del processo di cambiamento sia in Kitty che nel marito. Lo spettatore si fa quindi prendere dalla storia, che dà sicuramente il meglio in questa metà, anche se i due interpreti rimangono comunque scarsamente illuminati dai colori smorti dominanti nel film: dalla Watts tanto distante dalla divina Garbo a Norton così prigioniero della inflessibilità del suo personaggio da risultare totalmente inespressivo.
Su tutto vince quindi la trama: un mélo di altri tempi su amore, peccato e redenzione.
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Recensione a cura di peucezia - aggiornata al 12/11/2007
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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