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Quattro delinquenti adolescenti si dirigono, seguiti dalle loro due guide, in un città dello Yorkshire per lavorare insieme e imparare a stare uniti in gruppo.
Il viaggio si dimostra subito un buco nell'acqua, infatti i ragazzi sembrano annoiati e infastiditi dall'atmosfera stranamente malata della loro meta "turistica". Appena entrati in un locale-bar, si accorgono che qualcosa non va negli abitanti locali. Si renderanno conto troppo tardi di trovarsi in una gabbia di mostri e sadici torturatori, capeggiati da un perverso pagliaccio di spettacolo.
Non è la prima volta che Alex Chaldon si dedica alla produzione di film horror. Esattamente dieci anni prima di "Inbred", il regista britannico ci provò con "Cradle of Fear" (2001), con risultati purtroppo pessimi. "Inbred" invece è di tutt'altra pasta, nonostante poco conosciuto qui in Italia. E' un horror non convenzionale, che miscela perfettamente lo humor britannico all'elemento gore e splatter. Uno di quei torture porn, insomma, che si fa prendere poco sul serio.
Il genere a cui appartiene è fin troppo inflazionato. Negli ultimi anni sono state prodotte tante pellicole che seguivano la scia di "Non aprite quella porta" o di "Le colline hanno gli occhi". Il difetto principale che le accomuna è che sono tutte simili, poco originali, molto derivative. Raramente c'è qualcosa di prezioso da ricordare ed il tutto spesso si riduce ad un mero susseguirsi di torture e sevizie. Un esercizio di stile fine a se stesso.
In "Inbred" per fortuna non è così. Gli attori se la cavano e offrono delle performance godibili, il ritmo narrativo è coinvolgente fino all'ultimo, l'elemento gore è sempre accompagnato dalla suspense tipica degli horror psicologici. E a livello stilistico si potrebbe ritenere un capolavoro. Le ambientazioni sono ottime, interessanti e adeguate. Gli abitanti che gridano "Ei a yo" dopo aver ucciso una delle loro "prede" da caccia e l'originalità delle torture proposte completano il quadro e danno l'idea di un film discreto, apprezzabile.
"Inbred" è molto più disturbante di "Hostel" e di "Non aprite quella porta" messi insieme. Non punta tanto sulla quantità della torture, ma sulla qualità e sull'effetivo visivo che queste hanno. Per questo la sensazione di shock pervade lo spettatore un po' per tutta la durata, accentuata in più da una fotografia sporca e tetra. Una specie di "Two thousand maniacs!!" riproposto in chiave moderna.
Un'altra volta la Gran Bretagna si conferma una spanna sopra l'America, meritandosi il primo posto nella produzione di pellicole horror come nazione.
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Recensione a cura di dubitas - aggiornata al 26/08/2013 16.38.00
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