Recensione io non ho paura regia di Gabriele Salvatores Italia 2003
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Recensione io non ho paura (2003)

Voto Visitatori:   7,82 / 10 (277 voti)7,82Grafico
Voto Recensore:   8,00 / 10  8,00
Miglior fotografiaDavid giovani
VINCITORE DI 2 PREMI DAVID DI DONATELLO:
Miglior fotografia, David giovani
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locandina del film IO NON HO PAURA

Immagine tratta dal film IO NON HO PAURA

Immagine tratta dal film IO NON HO PAURA

Immagine tratta dal film IO NON HO PAURA
 

Basato sull'omonimo romanzo di Niccolò Ammaniti (che ha collaborato anche alla sceneggiatura), questo film segna il ritorno alla regia di Gabriele Salvatores, dopo l'interessante Denti. Regista dotato di un certo talento visionario, realizza con questa pellicola la sua opera forse più riuscita e compatta, che denota un'ormai raggiunta maturità artistica.

La storia è ambientata nella Puglia degli anni Settanta, in uno sperdutissimo e poverissimo paesino dell'entroterra, costituito da poche case e da sterminati campi di grano. In questo contesto vive Michele (Giuseppe Cristiano), il protagonista del film, un bambino di dieci anni che in quest'estate narrata dal film passa il suo tempo tra la quotidianità con la famiglia e i giochi insieme agli amici e vicini di casa. E' proprio durante uno di questi pomeriggi che Michele trova per caso un buco scavato nella terra vicino ad una cascina abbandonata, al cui interno ci trova rinchiuso un bambino della sua stessa età. Inizialmente Michele non si pone domande, anzi cerca di comunicare con il coetaneo prigioniero e di soddisfare le sue richieste, senza dire niente a nessuno di quella sua scoperta. Soltanto successivamente verrà a galla la sconvolgente verità...

Girato con una maestria tecnica rara nel cinema italiano, come dimostra lo splendido piano sequenza iniziale che parte da sottoterra e finisce sullo sterminato campo di grano giallo in contrasto con l'azzurro del cielo, il film ha il suo lato di forza nel connubio perfetto tra sceneggiatura, regia e direzione degli attori. Come dicevo, il film più maturo di Salvatores, che è riuscito a trarre dal romanzo di Ammaniti uno stupefacente spaccato di una realtà italiana posta ai margini della società e poverissima, spesso ignorata. Un film che narra due mondi che appaiono quasi nettamente distinti: quello innocente e ingenuo dell'infanzia (Michele non si pone domande sulla prigionia del coetaneo e anche quando scopre l'orrenda verità sembra quasi non realizzare, combattuto tra l'orrore di ciò che ha scoperto e l'amore per la sua famiglia) e il mondo degli adulti, disperatamente contraddittorio (il papà di Michele che narra al suo bambino come sarà migliore tra poco la loro vita fatta di stenti, mentre nel suo sguardo si legge lo sgomento e la paura di quello che si nasconde dietro le sue parole).
E tutto questo grazie alla straordinaria prova di tutti gli attori, bambini compresi, e in particolar modo del protagonista Giuseppe Cristiano, attraverso cui si specchia l'anima del film: è lui il cardine della vicenda, è attraverso i suoi sguardi, la sua bicicletta che corre nello spazio infinito, la sua struggente filastrocca che canta mentre si inoltra nelle tenebre della notte a compiere il suo atto eroico, che capiamo l'assurdità e a volte l'inutile complessità del mondo adulto, in contrapposizione con la dolcezza e ingenuità di quello infantile.
E tutto si fotografa nel finale, assurdo, commovente, dove la follia adulta trova lo sbocco più tremendo che si possa immaginare e dove il mondo dell'infanzia viene dunque posto ad un livello superiore: nonostante l'orrore provocato dai grandi, ecco che i bambini vincono (bellissima la sequenza del bambino che affronta con la sua angelica innocenza il cattivissimo Abatantuono, messo poi in fuga dagli elicotteri dei carabineieri) e gli adulti sprofondano nell'ineluttabilità delle loro stesse azioni, senza possibilità di ritorno.
Da segnalare anche l'ottima fotografia che gioca con il giallo dei campi di grano e con il nero delle ombre notturne, nonché la colonna sonora presente durante il film, che sottolinea in modo perfetto l'ambientazione nell'Italia degli anni Settanta, l'Italia di Mina, dei rotocalchi (L'Intrepido, che si intravede sul sedile di una macchina) e dei telegiornali nazionali presentati da un giovane Emilio Fede.

In definitiva, Salvatores si conferma uno dei migliori registi italiani, l'unico forse che ha il coraggio di esplorare strade alternative, battute da quasi nessuno dei suoi colleghi.
Un film da vedere.

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Recensione a cura di stefano76 - aggiornata al 07/05/2003

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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