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Non è semplice raccontare un'anonima triste vita. Figuriamoci quattro.
La via più semplice è quella del realismo, il miglior sostenitore della verità.
Ma la tristezza e la disperazione quanto la libertà e la spontaneità non sono ospiti gradite nel palco della società buonista.
La paura del turbamento e di chissà quale negativa contaminazione frenano l'interesse e la giusta voglia di capire. La censura allora viene nutrita abbondantemente di tutto ciò che può impressionare, o soltanto far curiosare in quella che, in fondo, è la realtà.
Una della tante verità della vita, in cui le sfumature generano uomini e donne fantastici nella loro bellezza come nella propria miserabilità.
"Se tu penserai, se giudicherai
da buon borghese
li condannerai a cinquemila anni più le spese
ma se capirai, se li cercherai fino in fondo
se non sono gigli son pur sempre figli
vittime di questo mondo."
Fabrizio De Andrè
Larry Clark è un fotografo della vita, quella estrema e messa al bando dal bigottismo.
I suoi lavori, fotografici e cinematografici, vengono etichettati con pregiudizi da una mentalità chiusa e imbarazzata di fronte a nudità e a scelte "altre". Come degno prosecutore del lavoro ritrattistico di Diane Arbus, Clark cattura momenti di naturalezza in soggetti volutamente ignorati dalla società, come fu per i freaks della fotografa. Lo spaccato intimo di ogni suo sguardo ha la possibilità di essere un pugno nell'occhio o una meravigliosa finestra su microcosmi di singolare umanità.
"Ken Park" è l'ultimo dei suoi gioielli cinematografici, nel quale è regista insieme a Edward Lachman.
Vietato in Australia e meramente classificato come "porno" alla sua uscita direttamente in dvd in Italia, il film parte già palesemente debilitato.
E' indubbio che non sia un film adatto a un grande pubblico, e non si può pretendere che possa abbracciare gli stessi consensi di una commedia romantica, ma non si può neanche ritenere lecito che il pungente realismo provocatorio assecondi un giudizio filtrato da una sensibilità fasulla e bigotta.
Questo prodotto rimarrà un'opera poco compresa ai più per la mancanza di andare oltre e aprire la mente ai molti sinonimi di realtà.
Il film è una concatenazione di storie. Un adolescente dei sobborghi di Los Angeles si toglie la vita: si chiama Ken Park. Tra coloro che lo conoscevano ci sono quattro ragazzi, Shawn, Claude, Peaches e Tate.
Shawn ha una relazione con una madre di famiglia; Claude è martellato dalle ostilità e dal disprezzo del padre; Peaches cerca di sopportare suo malgrado un padre vedovo e fanaticamente religioso e Tate si barcamena nella sua quotidiana convivenza coi nonni.
Quattro vite perfettamente anonime nel marasma sociale americano vengono indagate a causa del suicidio di un ragazzo che non conosceremo mai. Tuttavia la sua morte diventa un espediente narrativo per introdurre l'attenzione dello spettatore tra le vie di Visalia.
Le scene iniziali mostrano un ragazzo dai capelli rossi che attraversa l'insignificante borgo con in sottofondo "Lamar Vannoy" dei Bouncing Souls:
"He was only 16 and he knew he wasn't like everyone else
Listening to his records in his room he knew
Something had to change somewhere or he would go insane."
Un raro assist musicale, nel silenzio sordo di tutta l'esecuzione, che suggerisce qualcosa di anomalo.
Il soggetto sullo skate appare da subito come un elemento di contorno, fa parte della stessa scenografia introduttiva, agevolando così una panoramica sul contesto di qualcuno che non è ancora davanti ai nostri occhi.
Viaggiamo sullo skate insieme a lui, davanti alla scuola, alla chiese e alle vie di Visalia. Siamo parte di quel tragitto marginale. Non c'è niente di particolare o di interessante, nemmeno nel fulvo skater che però esce di scena in grande stile: un addio alla vita esibizionista e tipico di un sedicenne disperato e confuso.
La conoscenza di tale Ken Park dà quindi avvio al racconto.
Per gli altri quattro forse la desolazione è la stessa, perché il contesto li imprigiona tutti nelle paure e nelle insanità degli adulti, ma ognuno, a suo modo, ne esce, affrontandole e combattendole con i mezzi che ha a disposizione.
Si avvisa il lettore che spesso, da qui in poi, si farà riferimento a scene e risvolti della trama fondamentali per la comprensione dell'analisi ma sicuramente più utili se sconosciuti ad una prima visione.
Il fil rouge che lega le vite dei quattro amici è il conflitto con la società e con la propria vita familiare, fatta di piccole e grandi miserie, difficili da cambiare e tramutare in qualcosa di migliore.
Il disperato tentativo di vivere che ogni personaggio sente, dai protagonisti agli adulti intorno, è assolutamente drammatico e forgiato sulle mancanze e sulle delusioni di una realtà crudele e avara di amore. Il sesso diviene per tutti l'unico veicolo di contatto sincero e desiderabile, vissuto dai ragazzi come piacere naturale e genuino, e dagli adulti come palliativo e anestetizzante capace di omettere per un poco la durezza della propria esistenza.
La presunta pornografia attribuita a questo film è data da un'errata visione degli avvenimenti che illustrano queste espressioni di naturalezza o malessere. Ma La pornografia è tecnicamente qualcosa di osceno e svergognato, e non si può etichettare così ogni nudità e ogni atteggiamento intimo ma assolutamente esplicito.
In "Ken Park" non esiste squallore o volgarità neanche nei momenti più bui toccati dagli adulti, perché ogni gesto ed assurda decisione di esporsi è data da una sofferenza personale estremamente avvertibile e lo sguardo del regista mostra abilmente la vulnerabilità umana di questi momenti evitando l'ovvia riprovevolezza, che si avverte automaticamente e autonomamente.
Clark ci pone di fronte alla conoscenza e alla comprensione di spazi troppo intimi e privati per sentirci in grado di giudicare; lo spettatore diventa un indiscreto voyeur che silenziosamente spezza il segreto di istanti privati che nessuno vorrebbe conoscere o scoprire.
Il taglio di tale visione permette di comprendere e studiare le dinamiche familiari che ruotano intorno ad ogni protagonista, senza che però ci porti a condannarli. Un invito a questo tipo di percezione lo danno le parole di Shawn che descrive Tate:
"La gente che lo incontrava diceva che Tate era matto. Era intelligente invece, solo che ragionava in modo differente da tutti gli altri."
Lo spettatore è portato a liberarsi dei pesanti preconcetti della finta morale, per osservare semplicemente, così come questi ragazzi, altrettanto semplicemente, vivono i loro problemi e la propria realtà.
La regia esclude e allontana ogni giudizio per consentire all'osservatore di capire cosa succede. E in questa ottica, ogni scena indiscutibilmente forte arriva ad essere più o meno tollerabile, poiché noi non siamo nella posizione di poter additare o schernire quelle strane sfumature di scelta umana.
Tutto ha un senso preciso e ogni parola e atteggiamento porta a una conseguenza nella vita dei quattro adolescenti, per cui le scene banalmente considerate "scandalose" divengono perno necessario di conoscenza ed empatia.
Il lavoro artistico di Clark è sempre stato fortemente interessato alla vita degli adolescenti, specie a quelle nelle quali si prefigura l'eccesso e l'esagerazione.
Partendo dalla sua fotografia, impareggiabile per la sua sensibilità e il suo realismo, fino al ruolo di regista, Clark sente un'esigenza viscerale di mostrare la dolcezza e l'innocenza di adolescenti che intraprendono vite singolari e tragiche, anche per colpa di una realtà e di una famiglia che non gli permette di conoscere l'amore con percorsi semplici.
Quindi ciò che può sembrare paradossale agli occhi di chi si sconcerta davanti a scene di sesso "non tradizionale", in cui questi adolescenti esplorano le proprie sensazioni ed emozioni, è invece assolutamente naturale e puro se rapportato a quelle personalità così confuse e innocenti che ci mostra Clark.
Ognuno dei quattro ragazzi esprime una bellezza tipica della giovinezza, fatta di semplicità.
Il sipario sui quattro amici si apre con la voce fuori campo di Shawn e una foto che li ritrae insieme. Un ritratto individuale introduce alla prima conoscenza della loro attuale situazione, con la voce di uno di loro che presenta l'altro amichevolmente.
Questo motivo narrativo suggerisce il taglio finto-documentaristico della regia di Clark, che sembra essere lo spettatore principe di tale storia, colui a cui viene raccontata la vita di questi adolescenti, in un silenzio da stanza di registrazione che attende solo il suono di quelle voci fresche e sincere, che hanno voglia di dipingere la propria esistenza così com'è, senza vergogna o artificio.
E così Shawn viene seguito nella stanza da letto della sua amante adulta, nel mentre che la esplora e la desidera con un appetito sessuale che profuma più di affetto che di libido; nonostante la sua apparente disinvoltura e calma è ansioso di sapere cosa rappresenta per lei e se è in grado di suscitare in lei un sentimento di necessità e piacere.
Nonostante questo pensa di amare la figlia di questa donna. Il suo linguaggio è diretto e asciutto ma la sua fermezza è solo una faccia della timidezza e della voglia di essere essenziale per qualcuno.
Claude accudisce dolcemente la madre, amorevole ma poco perspicace, e cerca di reagire e sfuggire ai soprusi di quel padre che non rispetta più.
Peaches è spiata mentre regge dignitosamente il fardello di una somiglianza drammatica con la madre morta, che la imprigiona nel dolore e nelle ossessioni religiose del padre, non smettendo però di desiderare una normale sessualità col ragazzo che le piace, arrivando pure ad assecondare superficialmente le stranezze del padre.
Tate è forse quello che subisce maggiormente del voyeurismo di Clark, spingendolo ad osservare non solo le discussioni aggressive coi nonni ma anche i momenti più intimi di espressione sessuale, in cui il ragazzo arriva alla masturbazione.
Più volte sembrerà allo spettatore di invadere spazi e attimi estremamente personali, in cui è lecito sentirsi fuori luogo tanto ci si sente dentro la situazione.
L'intimità di tutti questi istanti rubati è magistralmente resa dalla fotografia di Clark che si concentra su particolari che pongono l'accento alla situazione: la mano di Peaches con l'anello di matrimonio della madre, il membro eretto di Tate, le dita di Claude che giocano coi peli del suo polpaccio, il viso di Shawn fra le gambe della sua amante.
Sono elementi di personalizzazione delle circostanze che aiutano a far sembrare ancora più realistico lo spiare dello spettatore, che riesce anche a mettere a fuoco microelementi quasi li cercasse coi suoi occhi, e non, invece, indirizzato da quella fotografia così naturale.
La regia passa in esame le abiezioni peggiori degli adulti, mostrando topici personaggi, noti ad ogni società, in cui non è difficile scovare la meschinità.
La bella donna, patetica nella sua competizione con la figlia adolescente, invidiosa della sua giovinezza e freschezza e galvanizzata per essere ritenuta identica a lei dal suo fidanzatino (Shawn) ma con più esperienza; il tempo che passa è motivo d'angoscia, e silenziosamente odia la banalità della sua vita quotidiana, apparentemente perfetta e costruita sul rassicurante concetto di buona famiglia americana: padre macho e dedito a lavoro e partite sportive in tv, il ruolo ritagliato per se stessa di casalinga perfetta, e due figlie che la rispecchino.
Colpisce l'immagine della bimba sola davanti alla tv con l'inquadratura di natiche femminili mentre la madre si occupa del suo ego depresso con il fidanzatino della figlia.
L'ottuso omaccione tutto muscoli e alcol che si scopre essere un omosessuale latente e depravato, capace di umiliare quel figlio (Claude) che desidera incestuosamente (ricorda l'ignorante e rigido militare e padre padrone di "American Beauty").
Il fanatico religioso che non elabora la morte della moglie arrivando ad allevare la figlia come se dovesse essere per lui la sposa defunta.
E i due nonni, ignare vittime di un nipote abbandonato alla sua aggressività.
In questo insieme di vite adulte c'è la brutta e triste faccia dell'America, pregna di depressioni e delusioni intime e non cicatrizzabili, piccoli drammi personali e potenziali psicosi che si preferisce trascurare o affidare all'ignoranza per enfatizzarle a dismisura.
Accanto alla freschezza e all'ingenua ricerca di comprensione e amore degli adolescenti, disorientati e soli, c'è la rigida mediocrità degli adulti, gli unici ad essere scandalosi nei loro comportamenti e nelle loro scelte. La tragica miseria dell'età adulta è ben espressa dall'impostazione grottesca di Clark, che non manca mai di sottolineare il paradosso tra la saggezza e la purezza degli adolescenti di contro a coloro che dovrebbero ormai aver raggiunto un equilibrio interiore.
Clark scatta delle fotografie, singolari per la loro bellezza e la loro efficacia, di questi adulti così poco evoluti e così opportunisti nei confronti degli adolescenti.
Il padre alcolista che barcolla incosciente davanti a casa sua dopo aver inutilmente mortificato il figlio, è un'immagine di brutale potenza, crudelmente bella nella sua verità drammatica.
Così come è eloquente la rigidità del padre di Peaches che legge la Bibbia senza prestare ascolto alla figlia, che poi non manca di denigrare coi versetti della Babilonia meretrice e peccatrice; paradossalmente è lui additabile come peccatore, degenerato padre e credente.
La bravura degli attori, pressoché sconosciuti, ben si presta alla sensibilità dell'abile regista. I quattro giovani sono ammirevoli per la spontaneità e la disinvoltura con cui interpretano anche le scene più esplicite.
Soprattutto i tre ragazzi danno prova di una qualità attoriale superba nell'esprimere una tenerezza realistica in netto contrasto con la realtà che li vede protagonisti.
E sicuramente James Ransone, interprete di Tate, merita una menzione a parte per la sua credibilità; la bizzarra masturbazione che lo vede soggetto attivo è sconcertante per la sua veridicità, immaginando anche quanto possa essere stato imbarazzante per lui metterla in atto esattamente come la regia gli ha chiesto.
Tra gli attori adulti emerge la padronanza di Wade Andrew Williams, nei panni del padre di Claude, abominevole e misero, affiancato da una defilata moglie, affidata alla recitazione di Amanda Plummer, perfetta nel rendere una donna succube del marito e affettuosa nei confronti del figlio tormentato.
Ma il cast a nulla varrebbe se non fosse supportato dalla suddetta regia e dalla sceneggiatura, che costruisce uno schema narrativo regolare ed efficace, in cui il marginale Ken Park apre e chiude in ring composition il cuore del film, articolato invece in uno passaggio sempre uguale da una vita all'altra dei quattro amici.
E' come un aggiungere tasselli, integrare un disegno con colori, ombre e sfumature fino a farlo diventare un dipinto, un'opera completa.
Dopo una sintetica idea della situazione dei quattro ragazzi, partono le loro vite con quei problemi che poi raggiungeranno l'apice massimo in un climax narrativo ascendente fino alla svolta per ognuno di loro.
Ed è qui che può far discutere la scelta narrativa: Tate estremizza la sua negatività al massimo, fino a perdere coscienza di sé e della realtà, mentre gli altri tre appaiono per la prima volta insieme per raccontarsi e unirsi serenamente. La spontaneità e la naturalezza rendono alla perfezione la tenerezza dell'adolescenza che ha voglia di conoscere e assaporare senza secondi fini, per il solo piacere di essere.
Questa la chiave di "Ken Park": la bellezza della giovinezza, la vera protagonista della pellicola, e l'assoluta purezza di un età in cui si cambia e si vorrebbe cambiare la realtà circostante, in cui si può essere liberi di essere se stessi senza dover tener conto di cosa è giusto o sbagliato; i tre amici incarnano la voglia di essere amati.
Passando per il riservato Shawn, che studia dolcemente i gemiti della sua amante, fino al gretto padre di Claude, che piagnucolando dirà che nessuno gli vuole bene dopo essere stato respinto dal figlio, tutti sono alla disperata ricerca di un appoggio che possa colmare l'abisso della propria solitudine interiore.
Le scene e ancor più i significati del film sono difficili da digerire. Non è certamente adatto a chi è abituato all'edulcorato cinema edificante che ritrae adolescenti fintamente tormentati da problemi ridicoli.
Tra chi, per caso o per volontà, si imbatterà in "Ken Park", sicuramente ci sarà lo spettatore scandalizzato e quello ottusamente divertito, ma si spera ci sia anche chi comprenda la finezza di un'opera così profonda e inusuale, specchio crudelmente veritiero di un mondo che tutti abitiamo.
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Recensione a cura di ele*noir - aggiornata al 22/12/2009
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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