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Il film inizia con la voce fuori campo del narratore che descrive i benefici dell'applicazione del radar su vasta scala, esaltando in particolare le nuove possibilità di difesa dagli attacchi aerei offerte dal congegno semielettronico in virtù della sua capacità osservativa a lunga distanza.
Siamo intorno alla metà degli anni '50, si è costituita nel nord del Canada una linea di osservazione radar molto estesa e complessa in grado di proteggere da minacce provenienti dal polo Nord verso gli Stati Uniti.
La linea è composta da diverse stazioni radar, operative 24 ore su 24 ed è denominata "Fred".
L'emissione improvvisa da un vulcano artico di magma e materiale gassoso provoca il disfacimento di alcuni enormi blocchi di ghiaccio polare. Da uno di essi si libera una gigantesca mantide religiosa rimasta congelata a seguito, probabilmente, di un evento catastrofico improvviso, in un periodo dell'era preistorica non ben definito. L'insetto carnivoro, ancora in ottime condizioni, con ogni suo organo interno ben funzionante, si desta sorpreso e impaurito ma è più che mai deciso a restare in vita.
Una delle tante stazioni radar della "linea Fred" viene distrutta dall'attacco dell'insetto gigante alla ricerca di una propria collocazione territoriale. Agli occhi dei soccorritori, che hanno ricevuto l'ultimo caotico messaggio, si presentano tra la neve alcune tracce lasciate dalla mantide, impronte per loro ancora inspiegabili.
Quando un aereo precipita incomprensibilmente e tra i rottami si rinviene una grossa spina di cartilagine animale, il comandante Parkman (Graig Stevens) si vedrà costretto a consultare il noto paleontologo Jackson (William Hopper), il quale una volta analizzata la spina ne dedurrà ipoteticamente la provenienza da un insetto, precisamente una mantide religiosa di proporzioni mastodontiche, superiore a diversi aerei americani da guerra messi insieme e della velocità di circa 600 chilometri all'ora.
La notizia che anche un villaggio esquimese è stato distrutto da una forza animale proveniente dal cielo, confermerà l'ipotesi della mantide elaborata da Jackson.
Lo scienziato e la giornalista Marge (Alix Talton) si recano allora nel luogo dove è caduto l'aereo, nella speranza di raccogliere nuove informazioni sull'insetto. Ma durante il soggiorno la mantide si fa viva e cerca di ucciderli. I due riescono a fuggire e l'insetto gigante diventerà ufficialmente per l'esercito degli Stati Uniti un oggetto da eliminare. La mantide si vedrà costretta ad ingaggiare una dura lotta contro l'aviazione e alcuni reparti speciali armati dell'esercito.
Riuscirà la mantide religiosa a sfuggire agli attacchi militari e a rifugiarsi in una zona del pianeta più sicura, dove magari poter felicemente riprodursi? Oppure dovrà arrendersi, sperando di essere lasciata in vita e di diventare un interessante oggetto di studio scientifico?
Settimo film per lo statunitense Nathan Juran, un vero e proprio cult, il regista è noto per "Il mistero del castello nero" del 1952, "Il dominatore del Texas" 1953, "Il giustiziere" 1953, "I senza legge" 1953, "La spada di Damasco" 1953, "A 30 milioni di chilometri dalla terra" 1957, "Base Luna chiama Terra" 1964.
Questo film in bianco e nero ha degli effetti speciali di una verosimiglianza sorprendente per gli anni '50, le riprese in volo della mantide religiosa (così nominata per via delle due zampe anteriori che si congiungono come in preghiera per catturare la preda), in grado di competere per potenza, velocità e agilità con i migliori aerei da combattimento americani, i particolari del suo comportamento più distruttivo e famelico, i suoi movimenti fisici, i dettagli di funzionamento dei suoi organi più meccanici, rotatori, sono indubbiamente più veri di quelli presenti nei film di oggi con animali giganteschi come "King Kong", etc. Tale risultato si ottiene perché l'oggetto filmico rimane un componente fisico della scena, che si combina con altri elementi veri, non si annulla, non viene cioè sostituito, inserito dalla computer graphics in una scena tutta virtuale, da video giochi.
Siamo nel 1957, la fantascienza americana non ha rivali, fa sognare il mondo, entusiasma sia ragazzi che adulti, poggia sul mito della grandezza americana certificata dall'immane sviluppo tecnologico. La superiorità scientifica degli Stati Uniti non è messa in discussione, essa è frutto anche dell'apporto, spesso decisivo, di numerosi scienziati e tecnici europei sfuggiti anni addietro al nazismo e al fascismo.
Hollywood è il crocevia di artisti di tutto l'occidente che prendono la residenza stabile negli Stati Uniti, la città del cinema trionfa, produce e vende con estrema facilità, ha sia i migliori attori sia gli interpreti carismatici che più piacciono al pubblico, i registi e gli sceneggiatori sono eccelsi, i mezzi tecnici di ripresa unici nell'occidente, i produttori investono sui film come non avviene in nessun altro paese al mondo.
La qualità è assicurata, la variazioni di temi e argomenti nelle sceneggiature è garantita da scrittori illustri di ogni provenienza stilistica. La fantascienza si impone per la notevole capacità, anche psicologica (seppur non sempre confortata subito da risultati eclatanti) degli addetti ai lavori nel conoscere i gusti e le attese più profonde suggerite dal misterioso e non facile pubblico cinematografico occidentale.
L'autore della sceneggiatura del film "La mantide omicida" è Martin Berkeley, definito da qualche critico un visionario ma che in quest'opera si dimostra tutt'altro, curando molto, oltre all'essenziale invenzione fantastica, le parti più abitudinarie e concrete del vivere americano.
Berkeley è partito da una storia scritta da William Alland, che in questo film ha la parte importante e un po' insolita del produttore. Secondo alcune recensioni questo film avrebbe dovuto essere il primo di una serie fanta-horror, ma la non grande affluenza di pubblico avrebbe indotto i produttori a interrompere la serie.
In realtà numerosi film americani di fantascienza non hanno immediatamente ottenuto grossi risultati al botteghino; solo col tempo gli incassi sorprendentemente sono aumentati, anche in modo esponenziale, e in modalità differenti, come quelle televisive, di videocassetta, dvd e altro.
I film sono diventati facilmente dei cult, anche in virtù di uno stile assolutamente inedito, lontano, dai modi più recenti di fare cinema in Occidente. Uno stile fotografico spesso in bianco e nero, vicino alle prime fotografie di inizio secolo che evocavano ricordi, realtà storiche precise, emozioni di un vissuto perduto, epocale, originario, costringendo l'osservatore a prendere posizione, a proiettare se stesso su di un rapporto immaginario con i personaggi protagonisti delle foto; riflessione che si tramuta poi in pensiero.
Da un punto di vista un po' più psicanalitico quest'opera di Nathan Juran richiama inconsciamente, per certi aspetti, l'immagine del "mostro per necessità" che era l'uomo ai primordi, quando per sopravvivere era costretto ad uccidere con una certa frequenza, formando clan ristretti basati culturalmente sull'adorazione del totem, inteso come venerazione, culto per senso di colpa del padre ucciso dal clan per le sue numerose donne vietate ai sudditi. In questo caso non si può parlare di clan, perché l'animale mantide è solo e dotato di un'intelligenza inferiore, ma la sua ricerca di una collocazione sulla terra è alienante perché il suo habitat originario si è modificato e quindi deve disperatamente cercarne uno idoneo alle sue caratteristiche biologiche.
Perché questo film liquida questa figura della mantide semplicemente definendola un mostro da sopprimere, giocando emotivamente sulle emozioni suscitate dalla lotta tra lui e l'uomo, senza tentare un'espansione etica del significato esistenziale della sua presenza? Probabilmente perché l'animale evoca ciò che era l'uomo una volta, lontano dal civile, omicida, predatore e stupratore.
La definizione della mantide come mostro omicida ci mette al riparo da ogni sforzo intellettuale teso a una conoscenza reale, più profonda dell'animale, ci consente di mantenere in vita il civile acquisito a fatica attraverso i secoli senza sobbalzare, ci ricorda ciò che dobbiamo rigorosamente mantenere rimosso, quel qualcosa che può rimanere rimosso solo a patto di negativizzarlo: l'istinto primordiale.
Dare dignità e riconoscimento naturalistico al mostro mantide avrebbe significato correre il rischio, per associazione spontanea di idee, di abbattere le barriere rispetto a ciò che l'inconscio ancora racchiude e conserva con cura da millenni: l'animale che c'è in lui.
Abbattere, anche solo a livello linguistico-letterario, il contrasto tra bene e male riferito all'opposizione tra uomo civile e uomo preistorico, avrebbe significato togliere senso alla rimozione di quello che l'uomo fu una volta in quanto essere primitivo e le cui tracce permangono attive nella sfera primaria dell'inconscio.
Diciamo allora che buona parte della letteratura dei libri e del cinema costruiscono storie che non possono fare a meno di evocare da una parte l'inconscio più originario, arcaico e dall'altra rafforzare il piacere per il civile acquisito, giocando sui pregiudizi, la moralità, la guerra, l'amore sublimato. E' questo un contrasto che sembra divenuto perenne, un rapporto in un certo senso impossibile, instabile, dinamico, senza soluzioni di scioglimento, la cui raffigurazione più plausibile potrebbe essere non il cerchio, né la spirale, ma il grafico di una linea spezzata che oscilla entro certi limiti tra un minimo e un massimo e che in qualche modo sembra ancora crescere leggermente in termini di civiltà. Questo film di Juran ne è una ulteriore conferma.
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Recensione a cura di Giordano Biagio - aggiornata al 01/06/2011 16.29.00
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