Recensione le crociate regia di Ridley Scott USA 2005
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Recensione le crociate (2005)

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locandina del film LE CROCIATE

Immagine tratta dal film LE CROCIATE

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Baliano è un fabbro, corroso dal dolore per il suicidio della moglie. Il riscatto gli si presenta nell'improvviso ritorno del padre, Goffredo di Ibelin, che se lo porta con sé alle Crociate. Alla sua morte il giovane Baliano erediterà le terre del padre, si farà ben volere dalla popolazione e difenderà Gerusalemme dall'assalto del feroce Saladino.

Ridley Scott c'ha preso gusto con cavalli, cavalieri e battaglie all'arma bianca. Non è l'unico ultimamente. Probabilmente nostalgico del successo del suo ultimo film ci riprova prendendo un po' da Il Gladiatore, un po' da Troy, un po' da Alexander e mescolando tutto ben bene. Nello specifico: la fotografia azzurrata e i campi di grano da Il Gladiatore; le battaglie e i saraceni mille anni dopo da Alexander (senza Raz Degan però); le acconciature e una buone dose di kitsch da Troy.

Senza entrare nell'inutile dibattito sull'aderenza dei fatti narrati con i fatti della storia letta sui libri, quello che Ridley Scott fa è mescolare: mescola la Grande Storia con la piccola storia, mescola esigenze hollywoodiane (volute da lui per primo) con verità documentaristiche (percepite più come un fardello che però non si può ignorare), mescola apologo moralistico sulla tolleranza con spettacolarità dozzinali del più tipico blockbuster. Il tutto muovendosi in mezzo ad un periodo, quello delle Crociate appunto, lungo e controverso, misterioso e dibattuto ancora oggi dagli stessi esperti in materia. A farne le spese, come ne Il Gladiatore del resto, è la verosimiglianza interna alla vicenda, ovviamente, violentata, stiracchiata, rattoppata e pericolante. Confusione c'è intorno alle Crociate e confusione rimane nel kolossal di Scott, anzi aumenta tra sovrani illuminati, re traditori, feroci saladini non così feroci, maniscalchi divenuti per incanto invincibili guerrieri, geografie senza dimensioni spazio-temporali.
Orlando Bloom, denti bianchi e capelli scalati, sia che sia in fucina o in mezzo alla battaglia, si scopre re dall'oggi al domani ed entra subito nella parte, si ritrova una terra che è una pietraia e la trasforma in un campo rigoglioso perché ha il genio di far scavare un pozzo e trovare l'acqua, arriva a Gerusalemme da un paesino sperduto della Francia senza rendersi nemmeno conto del come e senza colpo ferire conquista, nell'ordine, prima la fiducia dei nemici perché onesto, poi dell'esercito perché coraggioso, poi del popolo perché magnanimo, infine il cuore della bella erede al trono perché lui è Orlando Bloom e lei Eva Green.

Insomma "Le Crociate" non funziona o funziona male perché contraddice uno dei principi fondamentali del meccanismo "cinema", senza il quale il suo funzionamento irrimediabilmente si inceppa: la cosiddetta "sospensione dell'incredulità". Sospensione qui impossibile perché nemmeno per un secondo, nemmeno durante l'avvincente assedio finale, si riesce a prescindere o dimenticare il fatto che quel valoroso guerriero che stiamo vedendo sullo schermo, quello che difende Gerusalemme con un pugno di contadini dall'assalto dello sterminato esercito musulmano, quello che combatte come un eroe, quello che fa roteare la spada come un maestro d'armi, quello che prepara le battaglie come uno stratega, quello che conosce tutte le tecniche di difesa, quello che incita i soldati come un condottiero, quello che spezza i cuori come un dongiovanni, quello lì insomma convinto che si diventa cavalieri solo per essere nominati cavalieri, non è altro che un umile e semplice fabbro.

No, non ci fa una gran bella figura nessuno. Rilevando come i registi provino ormai un piacere perverso nel moltiplicare all'infinito gli eserciti a computer, l'unica cosa da salvare ne "Le Crociate" sono le parole pronunciate dal cavaliere durante l'atto della sua nomina.

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Recensione a cura di mirko nottoli - aggiornata al 01/06/2005

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